Liguori Editore
Mentre scrivo una poesia (chiamiamola pure
“poesiola”) che s’intitola Dos ojos de
gata (invece di stare a studiare con serietà e costanza per concludere due
benedetti articoli che mi sono rimasti sul gozzo), mi giunge un’email che
m’informa della scomparsa di Guido Liguori, il responsabile della Liguori
Editore.
E la domanda che sorge spontanea è la seguente: perché Franco Liguori (evidentemente, il figlio, il fratello, il nipote, o comunque sia, un parente stretto dell’Esimio Editore) mi ha mandato questo messaggio d’esequie? Perché ha sentito il bisogno di avvisarmi del suo cordoglio? Quand’è che io ho conosciuto Guido o Franco o altri membri della casa editrice “Liguori”?
È davvero sconcertante vedere in quali strambi modi,
attraverso quali strade labirintiche e tortuose, un uomo del XXI Secolo può
venire a conoscenza della scomparsa di un suo simile (entrando così in contatto
diretto con la morte di un altro – o anche: con la Morte dell’Altro…).
Ascolto gli Arcade Fire (una canzone d’una bellezza e
d’una tristeza infinite che s’intitola Mountains
beyond Mountains) e ripenso anche a colei che mi ha ispirato la scrittura
(e l’ideazione) di questa piccola poesia (ma chiamiamola pure “poesiola”).
È davvero ben strano constatare che, così come è facilissimo, perturbantemente facile, entrare in contatto con la morte di un proprio simile, altrettanto semplice è entrare in contatto con una persona che conoscemmo in diretta 3 anni fa, a Pisa, che abbiamo rivisto dal vivo solo 2 anni fa, a Milano, e che abbiamo rivisto solo 1 mese fa, a Torino, e che ora, stranamente, ci occupa la mente quasi 24 ore su 24…
È davvero ben strano constatare che, così come è facilissimo, perturbantemente facile, entrare in contatto con la morte di un proprio simile, altrettanto semplice è entrare in contatto con una persona che conoscemmo in diretta 3 anni fa, a Pisa, che abbiamo rivisto dal vivo solo 2 anni fa, a Milano, e che abbiamo rivisto solo 1 mese fa, a Torino, e che ora, stranamente, ci occupa la mente quasi 24 ore su 24…
A volte la chiamo “Musa”; altre “modella”; altre
ancora, semplicemente, “bella” (inutile aggiungere, caro lettore, che tutti
questi nick names sorgono dalla sua
belleza fisica obiettiva). Lei ride. A volte sorride. Non la guardo quando lo
fa, ma è come se potessi vederla dal vivo (quelle fossette che spuntano allegre
e spontanee, quando il sorriso le illumina il volto… internet annulla davvero
le distanze, quando la persona che ci occupa la mente, che dimora in pianta
stabile nella nostra testa, ci interessa davvero, perché c’ispira una curiosità
che sembra insaziabile).
E parliamo di tutto, della vita e della morte, dei viaggi in Spagna e di quelli in Italia, delle vacanze e degli impegni accademici, dei nipoti che vengono a trovarci nel pomeriggio e dei fratelli e le sorelle che, benintenzionati sempre, ci offrono il caffè appena uscito dalla macchinetta della Bialetti (ogni tanto, le mando anche la foto dei caffè che faccio con la mia splendida “Mokona”, regalo di mia madre che, ogni tanto, mi chiama perché sente forte la mia mancanza).
E parliamo di tutto, della vita e della morte, dei viaggi in Spagna e di quelli in Italia, delle vacanze e degli impegni accademici, dei nipoti che vengono a trovarci nel pomeriggio e dei fratelli e le sorelle che, benintenzionati sempre, ci offrono il caffè appena uscito dalla macchinetta della Bialetti (ogni tanto, le mando anche la foto dei caffè che faccio con la mia splendida “Mokona”, regalo di mia madre che, ogni tanto, mi chiama perché sente forte la mia mancanza).
Parliamo anche di fumetti (Dylan Dog, una nostra
passione in comune) e di cinema (Her,
il film che le ho consigliato e che lei ha subito visto – ma le ha lasciato l’amaro
in bocca, e forse si è rivista, o si è vista fin troppo identificata con
Samantha e col personaggio protagonista che s’innamora di Samantha – un giorno
dovrò scrivere un saggio sul cinema di Spike Jonze e l’Esistenzialismo contemporaneo, magari con un primo capitolo dedicato proprio a Her:
titolo: “Her, di Spike Jonze: un
futuro ricordato” – e chissà che qualche lettore curioso e “ozioso” non sgami il
ghigno a quel saggio stupendo del grande Harold Fish, libro che lessi da
ragazzo e che mi aprì la mente – solo in seguito avrei scoperto che il Prof.
Fish si occupava anche di Bibbia e della presenza del testo sacro nelle opere
di William Shakespeare…quante cose scopriamo solo a posteriori…com’è buffo il destino di ogni essere umano su questa
Terra, in relazione al concetto di “conoscenza”...arriviamo sempre in ritardo, manchiamo sempre l'appuntamento, le intuizioni sono rare e raramente ci fidiamo di queste ultime, siamo troppo impegnati a far quadrare un circolo che è e sarà sempre vizioso...).
E così, mentre attendo che l’Università chiuda
definitivamente i suoi battenti e io e la mia compagna d’avventure si inizi
(insieme) un nuovo viaggio per il Portogallo, ecco che torno a chiedermi quand’è
(quando cazzo è stato) che io ho provato a pubblicare con Liguori Editore e
come mai (perché?) Franco Liguori mi avvisa del fatto che Guido è morto e che,
nonostante tutto, la vita va avanti, la casa editrice continuerà a pubblicare
libri di qualità (dò uno sguardo al catalogo e m’imbatto subito in un titolo
che m’incuriosisce: Fellini-Satyricon.
Tra memoria, racconti e rovine: un
sottosuolo dell’anima…e come non essere attratti da una roba del genere…la
mia missione su questo Pianeta essendo proprio questa: “scavare dentro il
sottosuolo dell’anima” per vedere cosa vi si nasconde dentro, nella zona d’ombra
più oscura e pericolosa, più tetrica e paurosa…sono certo che se non avessi
studiato Lingue avrei fatto Psicologia o, perché no?, Filosofia…Ludwig Wittgenstein il mio modello da imitare, il maestro, la luce in fondo al tunnel...).
Ma basta divagare. Mando l’email con l’allegato,
superando la mia cronica timidezza di fronte alle donne belle che sembrano
modelle. La “Musa” legge e mi risponde con un messaggio vocale: “Ho appena
letto Dos ojos de gata…Ma lo sai che
mi è piaciuta tantissimo? Guarda, io sono ancora emozionata…te lo devo
confessare…è così bella che mi viene voglia di leggerla una seconda volta…anzi,
sai cosa ti dico? Io me la rileggo…e grazie!”.
L’allegria che si trasmette da un cellulare all’altro, la gioia di vivere che oltrepassa i confini e mi arriva diretta attraverso le onde sonore e quel pulviscolo attraversato dai raggi del Sole di cui parla Epicuro (o forse no, era Democrito che ideò tutta una teoria atomistica - o atomica? - per spiegare di quali elementi effimeri e, al contempo, speciali siamo fatti).
L’allegria che si trasmette da un cellulare all’altro, la gioia di vivere che oltrepassa i confini e mi arriva diretta attraverso le onde sonore e quel pulviscolo attraversato dai raggi del Sole di cui parla Epicuro (o forse no, era Democrito che ideò tutta una teoria atomistica - o atomica? - per spiegare di quali elementi effimeri e, al contempo, speciali siamo fatti).
È una vera e propria gioia sapere che le è piaciuta
la “poesiola”. L’ho riscritta 3 volte, prima di arrivare alla versione
definitiva. Ho cancellato parole che mi sembravano poco liriche; ho tolto
qualche aggettivo, ho aggiunto qualche assonanza, ho amplificato qualche anafora,
ho esagerato qualche iperbole. E lei ha apprezzato, lo noto dal tono della voce
(prima o poi qualcuno dovrà scriverlo un racconto – o, perché no? un romanzo –
sull’influsso di Whatsapp nelle
relazioni umane; sta cambiando tutto, sia il concetto d’identità che quello di
tradimento; siamo tutti le maschere che indossiamo; solo che la tecnologia ci aiuta a
inventarci una maschera al giorno, a seconda del destinatario; finiremo tutti
morti e solitari, tutti rinchiusi e rintanati nella propria stanza, come Joaquin Phoenix
in Her – il finale è da capolavoro e
glielo dico e glielo confesso: “Il giorno che muoio vorrei che come epitaffio sulla
mia lapide ci fosse scritta l’ultima email che il protagonista manda a
Catherine, la sua ex”. Silenzio e poi la sua domanda: “E perché ti piace tanto
quell’email?”. Risposta: “Perché c’è dentro tutta la fragilità di un uomo che
ha amato, sapendo di essere stato riamato, e che ha fatto degli errori
imperdonabili e che proprio per questo sa che non potrà più essere perdonato”. Silenzio dall’altra
parte. Whatsapp diventa un tomba. C’è
solo la tua foto in bianco e nero, da modella che sfila a Cannes, a sorridermi
da chilometri e chilometri di distanza).
Ho amato. Sono stato riamato. E spero di esserlo in
futuro.
Ecco un’epitaffio alternativo…
Gli Arcade Fire cantano ancora mentre mi accingo a porre
fine a questo sproloquio senza senso e privo di sensi e io, caro lettore, non resisto alla
tentazione, ti copio e incollo questi versetti:
Sometimes
I wonder if the world's so small,
That
we can never get away from the spraw.
Ecco, questa potrebbe essere una potenziale
traduzione in italiano:
A volte mi domando se il mondo sia così piccolo
da non farci mai scappare dal nostro quartiere.
O anche: “da non permetterci mai di fuoriuscire dalla
nostra cerchia”...
Fine
17/07/2017 (quanti sette in questa data!)