lunes, junio 29, 2015

Rondini, afa e insonnia e nostalgia di casa


E’ quasi mezzanotte, nella città spagnola in cui mi trovo a vivere, e oggi abbiamo toccato quota 43 gradi. Un caldo asfissiante piuttosto normale da queste parti (siamo alla stessa altezza di Messina o di Palermo, o di Catania, mi pare, ora non ricordo più bene e, comunque, a pochi kilometri dalle coste africane). E come ogni fine settimana gli abitanti della città in cui mi trovo a vivere fuggono e abbandonano le loro case alla solitudine e all’afa per spostarsi in blocco verso il mare e  la spiaggia e un po’ di mini-vacanze refrigeranti (molti qui hanno la doppia casa: quella “normale” di città e quella “estiva” in riva al mare).

Oggi sono tornato anch’io dal mare, ma l’ho fatto prima del tempo. Volevo sorprendere la città mentre dormiva all’ora della siesta. Un deserto. Un silenzio irreale. Nemmeno i cani in giro sui marciapiedi. Nemmeno l’ombra di un essere umano nei bar o nelle terrazze del centro. Nemmeno i mendicanti che ti chiedono l’elemosina col sorriso (qui perfino i barboni sembrano essere influenzati dal clima mediterraneo e solare, un’allegria che si respira a cielo aperto).

Il palazzo in cui si trova l’appartamento in cui vivo è vuoto. Molte finestre sono chiuse (le tapparelle abbassate come se il proprietario fosse morto all’improvviso o avesse abbandonato di fretta e furia il luogo del delitto). Non si sente nemmeno una mosca volare.

Mangio una macedonia fredda. Uno yogurt Danone al cocco con i cereali (questi ultimi li aggiungo io). Un caffè decaffeinato per riuscire a dormire (anche se so già che è tutto inutile e che dovrò sorbirmi l’asfissia e la compagnia fastidiosa e, a tratti, ingombrante dell’insonnia).

Ascolto Alex Britti ripescato da una vecchia cartella del computer italiano. Ogni tanto apro il mio HP italiano ed è come aprire la cassa del tesoro: ricordi, foto, canzoni, vecchi lavori che oggi riscriverei in tutt’altro modo e con tutt’altro tono, racconti iniziati e mai portati a termine.

Parte “Prendere o lasciare” e mi viene in mente – non so perché – uno dei miei angoli preferiti della Capitale, e cioè, il Colle Oppio, a due passi dal Colosseo, di fronte al Colosseo, a due metri da Via Merulana, anzi, tra Via Merulana e il Colosseo (Via Mecenate è la strada più tranquilla di quella zona, e anch’essa, una delle mie favorite, sembra regnarvi una calma apparente stranissima, trattandosi di Roma – ma chi legge questo “diario di bordo” sa che a Via Mecenate ho dedicato già molte parole, in passato).

E ricordo che a Colle Oppio ci ho baciato almeno due ex. Una era spagnola anche lei (come la mia attuale compagna d’avventure). L’altra era romana d’adozione, ma campana di origini. E forse c’è pure una terza, ma non era una fidanzata, forse era solo una turista, una storia nata in un pub e – chissà come e chissà perché – terminata a baciarsi sotto il cielo estivo di Roma, seduti su una panchina del Colle Oppio.

Nostalgia d’Italia? Non direi. E allora? Perché l’altro giorno ho fatto una lasagna? Io, un inetto in cucina, un perfetto incapace con mestoli e pentole, che mi metto a fare il ragù (3 ore di cottura) e compro le sfoglie della Barilla confidando nella marca? E perché il giorno dopo ho proposto alla mia compagna d’avventure di comprare tutto l’occorrente per fare un tiramisù? Io, un tiramisù? (dall’ultimo viaggio in Italia ho comprato perfino l’Amaretto di Saronno – doc – da aggiungere come tocco di classe o trucco da grande chef per inzuppare i Savoiardi – quelli non ci sono di marca italiana, o almeno, non li ho mai trovati qui in Spagna).

Smetto di ascoltare Britti, o meglio, abbasso il volume, e mi pare di sentire (a mezzanotte) il cinguettio tipico delle rondini. A mezzanotte in punto. Le rondini.

A Roma era piuttosto normale sentire il verso dei gabbiani. Ce ne sono molti che svolazzano intorno alle bandiere dell’Altare della Patria. Si vedono anche dal Colle Oppio. Squadre di gabbiani che planano e si riposano sopra quella che Peter Greenaway definì “la macchina da scrivere” (e ci girò anche un film, all’interno, anche se ora non ne ricordo il titolo).

Da quant’è che non guardo un film di Peter Greenaway? Che fine ha fatto il regista di Il cuoco, il ladro, sua moglie e l’amante e di I misteri del giardino di Compton House?

Il vivere in Spagna mi sta rendendo forse meno cinefilo?

Smetto di ascoltare le rondini (a mezzanotte? Ma siamo proprio sicuri? Non credo di avere le allucinazioni) e provo a coricarmi con un buon libro a farmi compagnia. Un discreto mattoncino. Quasi 600 pagine di scrittura fitta fitta nella versione tascabile dell’Einaudi che maneggio da qualche giorno. E’ il romanzo con cui Walter Siti ha cominciato la sua carriera da scrittore. Scuola di nudo, scritto con uno stile incredibilmente plastico, mobile, lirico, musicale, sorprendente e, a tratti, sinceramente indescrivibile. Siamo attorno agli anni 90 (il romanzo uscì nel 1994). Walter (così si chiama l’io narrante e protagonista assoluto e – a quanto pare – autobiografico della trama) ci narra i suoi alti e bassi lungo la piramide medievale dell’Università italiana (Pisa, dove feci il dottorato, qui riconoscibilissima, anche per il dialetto che il narratore mette in bocca ai personaggi pisani), i suoi scontri con i colleghi, le lotte intestine senza pietà per il nemico e, soprattutto, i suoi amori estremi per una variegata tipologia di uomini (dai culturisti alle marchette, dai giovani svampiti ai coetanei disillusi che magari hanno moglie e figli ad aspettarli a casa, i carabinieri finto-machos che poi se la fanno col prof. consenziente).

Leggo e smetto di ascoltare il cinguettio delle rondini. Ora è il ventilatore a dettare il ritmo della nottata. Quando all’improvviso m’imbatto nella tipica frase storica che la mia mano non può proprio fare a meno di sottolineare con la matita:

“Intuisco che non potrò vivere in un mondo dove tutto ha conseguenze” (cit., p. 218).

Che tristissima verità. Nel nostro mondo tutto ha conseguenze. Per questo Pascal diceva che le disgrazie nascono dall’incapacità dell’essere umano di starsene seduto, da solo, dentro la propria stanza. O forse non era così o non lo dice Pascal. Ma che importa?

In realtà, a differenza di Walter, io credo di trovarmi a mio agio proprio perché so che nel mondo tutto ha conseguenze. Il bello è che non sempre si sa che tipo di conseguenze scaturiranno da che tipo di esperienze si faranno. E io sono pronto a tutto. Io adoro ogni tipo di esperienze. Non ho paura delle rondini a mezzanotte, io…

L’insonnia, quella sì, ha la meglio sui miei nervi. Lei sì che mi fa paura. Ma andiamo avanti:

“Riesci ancora a distinguere tra materiale e no? Io ho l’impressione che ormai le cose siano la proiezione pornografica di se stesse; chi oggi volesse fare della pura poesia descrittiva, temo che rischierebbe un processo per oltraggio al pudore” (id., p. 316).


Accidenti, è vero! Matita. Sottolineatura. Veloci. Interessante, questo Walter…molto interessante...

martes, junio 16, 2015

Leggere il futuro nel passato: una scena tratta da La nebbiosa di Pasolini


Sono un cinefilo – come sapete bene, voi lettori di lungo corso di questo diario di bordo – e un appassionato dei rapporti tra letteratura e cinema. Però non amo leggere le sceneggiature: mi sembrano testi scarni, in potenza, freddi, tavole da laboratorio, bozze di un libro non vero, o troppo “irreale”, schemi di un lavoro in progress non fatto e non terminabile… 

E però l’altro giorno ho deciso di fare un’eccezione e ho cominciato a leggere La nebbiosa, che è il titolo che Pier Paolo Pasolini scelse per la sceneggiatura dell’omonimo film che non arrivò mai a girare. Siamo nel 1959: Pasolini visita Milano e cerca d’impossessarsi del linguaggio di quegli stessi “ragazzi di vita” che rende protagonisti di due dei suoi romanzi più importanti (Ragazzi di vita, appunto, del 1955, e Una vita violenta, del 1958), oltre che di Accattone (del 1961)... Come fosse una sorta di antropologo, il poeta e regista si cala nell’ambiente periferico e più pericoloso o disagiato della Milano degli anni 60 per ritrovarvi quegli stessi nodi che aveva già sperimentato nella capitale. E almeno stando a quello che butta giù nella sceneggiatura, ci riesce, perché leggendo La nebbiosa si riesce a volte a respirare l’atmosfera assurdamente violenta di personaggi giovani, adolescenti o addirittura bambini completamente allo sbando, che non sanno cosa fare della loro vita, che si dedicano a rubare, a fregare il prossimo, a picchiare o a picchiarsi tra di loro, a dire parolacce e a giocare con le pistole come fossero oggetti di plastica e non armi vere, che possono esplodere proiettili veri e che producono vittime reali (ci sono scene che fanno pensare a A Clocwork Orange di Stanley Kubrick, uscito 10 anni dopo Accattone).

E a un certo punto ci imbattiamo in una scena che fa venire letteralmente i brividi. I “ragazzi di vita” tendono un agguato a un uomo distinto che passeggia di notte lungo i viali del centro di Milano; sembra effeminato; forse si trova lì per prostituirsi o, più semplicemente, per cercare compagnia maschile; i ragazzi lo caricano in macchina con un sotterfugio e poi cominciano a prenderlo in giro. Gino – così si chiama questo strano personaggio – sta allo scherzo, risponde a tono alle battutacce del gruppo, ma poi cambia tono; cito:

“GINO (serio, acuto, coraggioso) Lo so. Avete brutte intenzioni nei miei riguardi. Ma ciò non toglie che potreste essere più divertenti. Bastonatemi, se siete così malvagi da farlo, ma bastonatemi almeno da persone spiritose” (P. P. Pasolini, La nebbiosa, Milano, Il Saggiatore, 2013, p. 140).

Impossibile, di fronte a questo brano, non pensare a come morì l’autore dello stesso. Sappiamo che Pasolini venne massacrato di botte e che il cranio venne schiacciato dalle ruote di un auto guidata (molto probabilmente) da Pelosi. Sappiamo pure che, a parte Pelosi, non si conoscono a tutt’oggi i nomi degli altri “ragazzi di vita” che dovettero assistere alla morte violenta del poeta e regista nei pressi dello Scalo di Ostia. L’elemento delle bastonate è incredibilmente presente sia nel brano (letterario) di una sceneggiatura che non è mai divenuta film, sia nella realtà (durissima e crudele, non più modificabile) della morte dell’autore (la durezza e la crudeltà aumentano se pensiamo che ancora non si conosce tutta la verità su quella notte).

Ma non finisce qui: la scena continua:

“Il Teppa, per primo, resta colpito da quel tono:

TEPPA (bofonchiando) Ma chi t’ha dì, che te demi bastunà? Perché?
GINO (secco, preciso) Perché siete infelici, scontenti di voi stessi, e dovete sfogarvi contro qualcuno”.

E’ evidente che qui Pasolini stia proiettando nel personaggio “debole” e omosessuale (o effeminato) di Gino alcuni suoi strali e traumi personali. I ragazzi continuano e Gino va avanti col suo discorso:

“Siete non infelici, ma molto infelici. Odiate tutti i vostri padri, e il loro mondo, cioè la società: ma non li odiate abbastanza… perché, in fondo, siete come loro…” (id. , p. 141).

Gino ormai non ha più paura della violenza fisica e sputa in faccia ai suoi aguzzini la sua “verità”: attacca il più spavaldo di tutti (uno che si fa chiamare Contessa) e gli dice che è il più arrogante e sbruffone perché, in realtà, è il più viziato da genitori e nonni; a questo punto Toni sbotta, rompendo il silenzio che cala nell’auto, per chiedere: “Ma chi abbiamo incontrato, un profeta?”. E questa è la risposta di Gino:

“GINO Macché profeta… Un altro infelice come voi, me che almeno ammette di esserlo” (id., p. 142).

Ecco, io credo che in questa risposta schietta e diretta ci sia parte del carattere di un “ribelle” e anticonvenzionale come Pasolini. Noi che siamo venuti “dopo” di lui, abbiamo cercato di interpretarlo anche da questo punto di vista: uno che vedeva le cose e che sapeva anticipare certi fenomeni (di massa) prima degli altri. Uno che era anche un intellettuale per questa sua capacità di andare oltre il velo delle apparenze e di anticipare gli eventi che, di lì a poco, hanno avuto luogo in Italia e hanno cambiato il volto sia dell’Italia sia della cultura italiana.

Ma torniamo alle bastonate: Gino non ha paura della morte violenta o della sbruffonata senza logica dei suoi aguzzini. Gino può perfino accettare le bastonate, ma pretende che siano date da persone spiritose.

E ripeto: quando si leggono queste frasi è quasi inevitabile pensare alla fine (reale) che fece Pier Paolo Pasolini: massacrato di bastonate e di botte da una banda di violenti, di giovani (o di giovanissimi) totalmente sprovvisti di spirito (e di coscienza, diremmo col senno del poi).

Ed è inevitabile pensare certe cose proprio perché noi veniamo dopo Pasolini, dopo la sua morte, dopo il 1959 e il 1975 e il 1976… Ed è la nostra posizione privilegiata da “contemporanei” che vengono “dopo” a permetterci di leggere e di interpretare questi dialoghi da sceneggiatura di un film mai girato in quanto frammenti che, in certo modo, anticipano quanto poi sarebbe accaduto sul piano della realtà a colui che inventò e scrisse queste parole. E’ la distanza temporale a permetterci di leggere il passato come futuro, quando il passato non era ancora passato (e scusate il gioco di parole). Ed è per questo che ora io leggo della vicenda di Gino e penso a Pasolini e interpreto quelle parole attribuite a un personaggio di finzione come fossero le parole di Pasolini. Ed è, infine, anche per questo che ogni volta che mi fermo a leggerle mi vengono i brividi e mi abbandono alle ipotesi più assurde, come quella che mi spinge a pensare che Pasolini poteva leggere il futuro in un modo così limpido e sicuro da anticipare – in parte – anche la sua stessa morte…E chissà, davvero, chissà, come sarebbe stata La nebbiosa, se Pasolini avesse trovato il tempo e la forza e l’energia per girarla e trasformare una sceneggiatura in un film vero. Chissà a quale attore avrebbe affidato la parte di Gino, se a Sergio Citti o a Ninetto Davoli, o a qualcuno che gli assomigliasse e in cui lui stesso potesse vedersi riflesso come in uno specchio… Chissà se (come nel Vangelo secondo Matteo, dove fa svolgere il ruolo della Madonna a sua madre) non si decidesse, alla fine, a impersonare lui stesso il personaggio del povero profeta preso in giro dai ragazzini di strada...

Letture pasquali Provo a leggere, in queste vacanze pasquali, tra una corsa in bicicletta in alta montagna e le mangiate assurde previste da...