CUBA
Nell’ultimo mese di Agosto (il periodo
delle tanto agognate, desiderate, sognate ferie), ho fatto varie cose strambe
che non sto qui ad elencare (una su tutte: praticare il nudismo con la mia
sensuale e meravigliosa compagna di avventure su una paradisiaca spiaggia
selvaggia del Sud leggendo Frankestein
di Mary Shelley sotto il sole cocente, scoprendo un’opera letteraria di primo
livello e di cui disquisirò debitamente su questo blog a suo debito tempo).
Un’altra cosa che, invece, mi ha
cambiato profondamente il modo di vedere il mondo, che mi ha turbato, sì,
insomma, che mi ha lasciato un’impronta indelebile è stato il viaggio che ho
fatto a Cuba, l’isola di Fidel Castro, nelle prime due settimane di Settembre.
Cuba… Che paese strano! Che posto
incredibile! Un paese pieno di colori, di musica (ad ogni angolo della strada,
in ogni bar o ristorante o hotel del centro), di gente vestita con toni accesi
e vivacissimi, di donne provocanti, di ragazze spensierate, di gente che
lavora, di molti, forse troppi manifesti che inneggiano alla “Revolución”, di
tanti, forse davvero troppo ingombranti poster con la faccia del Padre della
Patria…
E allora ecco che, di fronte a questi mega-poster, di fronte a questi faccioni
giganti o gigantografie di quelli che comandano e governano, uno inizia a
domandarsi come fanno a vivere i cubani a Cuba, uno capisce, o meglio ancora,
intuisce, che sotto il velo delle apparenze si nasconde un’altra Cuba, un’isola
non poi così tanto felice come sembra a primo acchito.
Ho avuto modo di parlare con i
cosiddetti “dissidenti”: un tassista, laureato in ingegneria meccanica,
preferisce fare il lavoro che fa perché con le mance guadagna di più che con lo
stipendio che gli offre lo Stato; alla reception di vari hotel di lusso (per
europei) lavorano molte professoresse o docenti di scuola media e superiori
(anche loro preferiscono la strada del “turismo” a quella dell’insegnamento per
via dello stipendio); in un mercato della frutta mi sono imbattuto in un
architetto che ora vende pomodori e che nel suo passato recente ha tentato ben
4 volte di attraversare il mare per approdare a Miami o in Florida. Mi ha
raccontato degli squali che in quella zona possono sbranare gli improvvisati
fuggiaschi. Ci sono film che parlano dei tentativi disperati di molti cubani di
arrivare in terra “nemica” (gli americani sono i “nemici” per eccellenza per
molti cubani convinti dalle vulgata
del Padre della Patria). In una gelateria ho chiacchierato con un muratore che,
per arrotondare, quando può va a lavorare nel porto e s’improvvisa pescivendolo;
sua figlia di 14 anni suona il piano, ma sia lui che sua moglie (una bellissima
mulatta dalla labbra carnose e gli occhi luminosi, una donna tutta curve, come
lo sono molte cubane) sanno che non avrà futuro, a meno che non uscirà
dall’isola e andrà a cercare fortuna all’estero (se resta a Cuba, come minimo,
finirà a suonare per i turisti in uno dei tanti hotel de La Habana). E allora
chiedo informazioni più dettagliate su come funzionano il mondo della sanità e quello
della scuola, su come si organizza lo Stato circa il diritto alla salute e
quello allo studio: “Semplice; lo Stato ti paga l’educazione fino
all’Università, ma poi ti affibbia un lavoro con uno stipendio standard
irremovibile, immodificabile, a vita. Sai quanti medici cubani scappano negli
USA? E sai che se tornano in patria, dopo aver fatto i soldi, rischiano
l’ostruzionismo da parte degli altri cubani che li vedono come “arricchiti” e
“traditori della Rivoluzione? Per quanto riguarda la salute, anche a quella ci
pensa lo Stato, ma se hai bisogno di prendere medicine importate, che vengono
da fuori, prega Dio di averci i soldi per comprarle, perché quelle non te le
paga nessuno, e non ci sono sconti per nessuno”.
Torno a guaradre i cartelloni con la
faccia di Ernesto Che Guevara. Un mito, una legenda, una figura storica
centrale, non c’è che dire. Il primo giorno andiamo a visitare il Museo de la
Revolución, a Santiago de Cuba. La guida ci offre la sua versione dei fatti. Ci
parla della dittatura di Batista. Delle infiltrazioni americane negli affari
cubani. Dei politici-marionette in mano ai vari presidenti USA. Delle imprese
dei giovani che lottarono al fianco di Castro. Ma non ci dice quasi nulla della
morte del Che in Bolivia. Parla quasi a bassa voce quando si riferisce al Che.
E ho come l’impressione che se facessi domande la guida non mi risponderebbe o
risponderebbe contro voglia. Un mito ammutolito e addomesticato. C’è chi
racconta che Che Guevara morì anche perché dalla capitale non arrivarono mai
quei rinforzi che aveva chiesto al suo compagno di avventure. Hasta la
revolución, siempre. È l’ultima frase di una delle ultime lettere che Che
Guevara inviò a Fidel Castro.
E qualcun’altro mi racconta che i
capitani dell’Esercito, i ministri, i politici che contano, all’interno del
Partito Comunista, non vivino nei quartieri del centro storico de La Habana, ma
nel Vedado, che è il quartiere chic e snob della città, la zona delle
Ambasciate (brutta e imponente quella russa, una specie di monolite grigio, una
torre gigante di cemento che campeggia sul resto del paesaggio).
Uno dei “dissidenti” mi domanda come sia
possibile una roba del genere nel 2014. E perché gli USA, perché l’Europa,
perché gli “altri” non alzano un dito per migliorare questa situazione assurda?
Perché nessuno li aiuta?
Gli chiedo: sarebbe possibile un altro
stato delle cose? E lui: “Non abbiamo le armi, quelle ce le ha l’Esercito e chi
ci comanda. E poi il cubano preferisce il quieto vivere alla guerra. I cubani
non vogliono migliorare, non saprebbero nemmeno da dove cominciarla un’altra
rivoluzione. E poi molti hanno paura. Anche di protestare. Ti faccio un
esempio: quanti giornali circolano in Italia? O in Spagna? O in Francia? Qui ne
circola solo uno, totalmente filo-governativo. E un altro esempio: se tu ti
rechi davanti al Parlamento italiano o spagnolo o francese e cominci a
protestare e a dire che non sei d’accordo col Governo, cosa ti fanno? Qui
rischi il carcere o l’ostruzionismo a vita. Oppure la morte”.
Non riesco a rispondere alle sue giuste
domande. Mi fermo davanti alla scritta di un insegnante di musica: “Profesor de
Música, 3º piso”. Come se avessero bisogno di maestri di musica, i cubani, fa la
mia compagna di avventure. Ma se i cubani ce l’hanno nel sangue la musica!
Esclama. E poi torna seria in viso. Stiamo ripensando tutti e due alle parole
del muratore-pescivendolo. Hasta la victoria, sì, siempre…