martes, septiembre 30, 2014

Parallel Universes (or Quantum Worlds)




Stephen Hawking, uno degli scienziati più intelligenti e illustri del Pianeta, a detta degli esperti, sostiene che Dio non esiste e che sì si può dimostrare l’esistenza di Universi Paralleli.

C’è qualcuno (una ex fidanzata) che ancora mi vede andare in giro in bici per le strade del centro di Firenze (quando, effettivamente, sfrecciavo davanti agli Uffizi con la mia fedele mountain-bike per andare a lavorare in hotel); c’è ancora chi mi vede passeggiare lungo Via del Corso, a Roma, tra Piazza del Popolo e Piazza Venezia, alla ricerca di qualche libro difficile da trovare nelle normali librerie del centro; e c’è la vicina di casa che ancora mi vede giocare a pallone (un pallone di cuoio, duro, consumato, pieno zeppo di graffi) nel campetto antistante la casa di mia nonna, in uno dei quartieri più rozzi e caratteristici della cittadina sui monti abruzzesi in cui sono nato.

E di sicuro ci sarà ancora chi mi vede ubriacarmi e dire stronzate a squarciagola all’uscita dei locali più alla moda di Malasaña, una delle zone studentesche più divertenti della “movida” madrilegna; e chi mi vede tutte le sere seduto alle Spallette sul Lungarno pisano, a pochi passi da Piazza dei Cavalieri, mentre disquisisco di letteratura con dottorandi provenienti da mezza Europa.


E forse c’è ancora chi mi vede studentello imberbe che parla di sesso con la sua migliore amica lungo la strada del ritorno a casa, una strada piena di sassi e di buche, di macchine che sollevano la polvere al loro passaggio e lastricata di dubbi e domande esistenziali: c’è vita in altri pianeti? C’è qualcun’altro, oltre a noi, nell’Universo? Quanti Universi esistono, o possono esistere, o possiamo arrivare ad immaginare? Il Bing Bang avrà una fine? E se sì, quando?

lunes, septiembre 29, 2014

CUBA



Nell’ultimo mese di Agosto (il periodo delle tanto agognate, desiderate, sognate ferie), ho fatto varie cose strambe che non sto qui ad elencare (una su tutte: praticare il nudismo con la mia sensuale e meravigliosa compagna di avventure su una paradisiaca spiaggia selvaggia del Sud leggendo Frankestein di Mary Shelley sotto il sole cocente, scoprendo un’opera letteraria di primo livello e di cui disquisirò debitamente su questo blog a suo debito tempo).

Un’altra cosa che, invece, mi ha cambiato profondamente il modo di vedere il mondo, che mi ha turbato, sì, insomma, che mi ha lasciato un’impronta indelebile è stato il viaggio che ho fatto a Cuba, l’isola di Fidel Castro, nelle prime due settimane di Settembre.

Cuba… Che paese strano! Che posto incredibile! Un paese pieno di colori, di musica (ad ogni angolo della strada, in ogni bar o ristorante o hotel del centro), di gente vestita con toni accesi e vivacissimi, di donne provocanti, di ragazze spensierate, di gente che lavora, di molti, forse troppi manifesti che inneggiano alla “Revolución”, di tanti, forse davvero troppo ingombranti poster con la faccia del Padre della Patria…

E allora ecco che, di fronte a questi mega-poster, di fronte a questi faccioni giganti o gigantografie di quelli che comandano e governano, uno inizia a domandarsi come fanno a vivere i cubani a Cuba, uno capisce, o meglio ancora, intuisce, che sotto il velo delle apparenze si nasconde un’altra Cuba, un’isola non poi così tanto felice come sembra a primo acchito.

Ho avuto modo di parlare con i cosiddetti “dissidenti”: un tassista, laureato in ingegneria meccanica, preferisce fare il lavoro che fa perché con le mance guadagna di più che con lo stipendio che gli offre lo Stato; alla reception di vari hotel di lusso (per europei) lavorano molte professoresse o docenti di scuola media e superiori (anche loro preferiscono la strada del “turismo” a quella dell’insegnamento per via dello stipendio); in un mercato della frutta mi sono imbattuto in un architetto che ora vende pomodori e che nel suo passato recente ha tentato ben 4 volte di attraversare il mare per approdare a Miami o in Florida. Mi ha raccontato degli squali che in quella zona possono sbranare gli improvvisati fuggiaschi. Ci sono film che parlano dei tentativi disperati di molti cubani di arrivare in terra “nemica” (gli americani sono i “nemici” per eccellenza per molti cubani convinti dalle vulgata del Padre della Patria). In una gelateria ho chiacchierato con un muratore che, per arrotondare, quando può va a lavorare nel porto e s’improvvisa pescivendolo; sua figlia di 14 anni suona il piano, ma sia lui che sua moglie (una bellissima mulatta dalla labbra carnose e gli occhi luminosi, una donna tutta curve, come lo sono molte cubane) sanno che non avrà futuro, a meno che non uscirà dall’isola e andrà a cercare fortuna all’estero (se resta a Cuba, come minimo, finirà a suonare per i turisti in uno dei tanti hotel de La Habana). E allora chiedo informazioni più dettagliate su come funzionano il mondo della sanità e quello della scuola, su come si organizza lo Stato circa il diritto alla salute e quello allo studio: “Semplice; lo Stato ti paga l’educazione fino all’Università, ma poi ti affibbia un lavoro con uno stipendio standard irremovibile, immodificabile, a vita. Sai quanti medici cubani scappano negli USA? E sai che se tornano in patria, dopo aver fatto i soldi, rischiano l’ostruzionismo da parte degli altri cubani che li vedono come “arricchiti” e “traditori della Rivoluzione? Per quanto riguarda la salute, anche a quella ci pensa lo Stato, ma se hai bisogno di prendere medicine importate, che vengono da fuori, prega Dio di averci i soldi per comprarle, perché quelle non te le paga nessuno, e non ci sono sconti per nessuno”.

Torno a guaradre i cartelloni con la faccia di Ernesto Che Guevara. Un mito, una legenda, una figura storica centrale, non c’è che dire. Il primo giorno andiamo a visitare il Museo de la Revolución, a Santiago de Cuba. La guida ci offre la sua versione dei fatti. Ci parla della dittatura di Batista. Delle infiltrazioni americane negli affari cubani. Dei politici-marionette in mano ai vari presidenti USA. Delle imprese dei giovani che lottarono al fianco di Castro. Ma non ci dice quasi nulla della morte del Che in Bolivia. Parla quasi a bassa voce quando si riferisce al Che. E ho come l’impressione che se facessi domande la guida non mi risponderebbe o risponderebbe contro voglia. Un mito ammutolito e addomesticato. C’è chi racconta che Che Guevara morì anche perché dalla capitale non arrivarono mai quei rinforzi che aveva chiesto al suo compagno di avventure. Hasta la revolución, siempre. È l’ultima frase di una delle ultime lettere che Che Guevara inviò a Fidel Castro.

E qualcun’altro mi racconta che i capitani dell’Esercito, i ministri, i politici che contano, all’interno del Partito Comunista, non vivino nei quartieri del centro storico de La Habana, ma nel Vedado, che è il quartiere chic e snob della città, la zona delle Ambasciate (brutta e imponente quella russa, una specie di monolite grigio, una torre gigante di cemento che campeggia sul resto del paesaggio).

Uno dei “dissidenti” mi domanda come sia possibile una roba del genere nel 2014. E perché gli USA, perché l’Europa, perché gli “altri” non alzano un dito per migliorare questa situazione assurda? Perché nessuno li aiuta?

Gli chiedo: sarebbe possibile un altro stato delle cose? E lui: “Non abbiamo le armi, quelle ce le ha l’Esercito e chi ci comanda. E poi il cubano preferisce il quieto vivere alla guerra. I cubani non vogliono migliorare, non saprebbero nemmeno da dove cominciarla un’altra rivoluzione. E poi molti hanno paura. Anche di protestare. Ti faccio un esempio: quanti giornali circolano in Italia? O in Spagna? O in Francia? Qui ne circola solo uno, totalmente filo-governativo. E un altro esempio: se tu ti rechi davanti al Parlamento italiano o spagnolo o francese e cominci a protestare e a dire che non sei d’accordo col Governo, cosa ti fanno? Qui rischi il carcere o l’ostruzionismo a vita. Oppure la morte”.



Non riesco a rispondere alle sue giuste domande. Mi fermo davanti alla scritta di un insegnante di musica: “Profesor de Música, 3º piso”. Come se avessero bisogno di maestri di musica, i cubani, fa la mia compagna di avventure. Ma se i cubani ce l’hanno nel sangue la musica! Esclama. E poi torna seria in viso. Stiamo ripensando tutti e due alle parole del muratore-pescivendolo. Hasta la victoria, sì, siempre…

 Un incubo (letterario) La fortuna (o il caso o  il destino o chiunque si trovi a gestire le nostre vite terrene) ha voluto che, un paio di ...