viernes, diciembre 31, 2010

31 Dicembre 2010


E' il 31 Dicembre del 2010; è da poco iniziato l'ultimo giorno dell'anno; è tempo di bilanci.


Se mi guardo indietro vedo una lunga distesa di progetti pensati e mai realizzati (o mai portati a termine entro i termini stabiliti); ma tutto sommato, non mi posso lamentare. Ho sempre lavorato (e oggi è quasi un lusso poter fare un'affermazione del genere) ed ho sempre fatto quello che più mi piaceva: studiare, leggere, insegnare (nei limiti del possibile e senza fare troppi danni) a persone che poi sono riuscito a coinvolgere nella mia materia di studio....


Ho conosciuto colleghi validissimi; persone generose, d'un altruismo che sembra venuto da un altro pianeta (forse perché di altruisti in giro se ne vedono davvero pochi). Professori d'una certa età che, invece di gettare i remi in barca, si danno ancora da fare; lottano e sudano e cercano di aiutare chi sta per passare lungo il loro stesso cammino (complicato, tortuoso e lungo, lunghissimo, d'una lunghezza che non si può misurare tanto sembra infinito).


Ho viaggiato spesso e in lungo e in largo: una mia amica dice che gli sembro più "cosmopolita" di un altro nostro comune amico che vive e lavora a Londra da ormai 5 anni (è diventato un direttore di banca; l'ho ricontattato; non potevo non fargli i complimenti, quando i nostri prof delle superiori lo consideravano una capra e lo davano per spacciato - il tipico caso disperato; ma il tempo cambia le cose e le persone diventano quello che nessuno si sarebbe mai aspettato prima).


Ho frequentato città come Pisa, Arezzo, Salerno, Potenza, Firenze, Madrid, Siena, Salamanca, Roma e tutte per motivi di studio (o di lavoro, il che, nel mio caso, è lo stesso), e in tutte ho trovato ospitalità e cordialità da parte di persone che prima non conoscevo affatto (o conoscevo solo in modo superficiale e formale).


Ho amato; e fatto soffrire per amore (più di quanto potessi immaginare; più di quanto avessi voluto). E pago le conseguenze dei miei atteggiamenti non sempre coerenti (ma chi è sempre coerente? Si può essere coerenti quando si è umani?).


Mi appresto ad iniziare il 2011 in nome dei viaggi: non so se traslocherò di nuovo in un'altra (l'ennesima) città; non so se mi poterò dietro quella che è destinata ad essere la mia biblioteca ambulante (sono diventato un mostro nel fare le valigie).


Posso fare meglio e dare di più (sto parlando sia dell'ambito lavorativo che di quello personale, sentimentale). Mia zia dice che se dico una cosa allora è vera; non so mentire. Mia zia mi vuole troppo bene; e forse non mi conosce fino in fondo (cambiamo, nel tempo: ecco un'altra disgrazia cui siamo condannati - per sempre - in quanto esseri umani).


Spero di fare meglio e di più...come tutti...quando l'anno vissuto sta per finire e si prospetta l'arrivo di quello nuovo...


Staremo a vedere (come sempre, d'altronde).

domingo, diciembre 19, 2010

Scrittura automatica

Non ho molta fiducia nella cosiddetta "scrittura automatica"; nemmeno credo molto nell'efficacia dei corsi di scrittura creativa, o nelle scuole che impartiscono questo tipo di corsi in cui ti insegnano a scrivere (anche perché - credo - è difficile insegnare una cosa simile; e il miglior modo per imparare a scrivere resta - a mio modesto parere - la lettura; bisogna prima leggere molto, per poter poi tentare di scrivere qualcosa di minimamente degno; se non erro o non sragiono).

Comunque, il punto è che l'altra settimana ho assistito a una lezione tenuta dall'autrice del recente Asino chi legge (Guanda, 2010) e questo è quello che è venuto fuori dall'esperimento che la stessa Antonella Cilento (brava e preparata e di una gentilezza spontanea e contagiosa - può la gentilezza essere "contagiosa"? Non lo so, nel suo caso mi pareva di sì e dunque lo dico: "gentilezza contagiosa" - e dunque, dicevo, questo è il risultato - il titolo lo propongo ora che lo trascrivo, ché mentre lo scrivevo non ci avevo pensato):

Nei pozzi d'argento dove riposa la sintassi

Anima significa farfalla. Farfalla significa montagna. Nella montagna magica i sentieri sono nidi di ragno che portano a pozzi d'argento dove riposa la sintassi.
Poi si volta. No. Ti volti. E il volto di lei che ti è accanto sospira affannato (l'aquilone - intanto - è scappato. Ma non era una farfalla, scusa? Sì, ma ora è diventato un'aquila).
Poi si volta. E si gira e vede Euridice. Ma non era Ulisse?
Sì, ma ora è diventato Euridice. Cammina, cammina, lentamente, sudando sette camicie.
Poi si volta. E' annoiata. Domanda: "Quando si arriva?". Risposta: "Manca poco. Pazienza. Pazienta un altro poco, che diamine!".
E mentre l'uno domanda e l'altra risponde cala la notte sul bosco e la montagna diventa una lastra di ghiaccio, scivolano insieme, senza meta, senza riuscire più a vedere niente, nemmeno i piedi, non si capisce bene dove metti i piedi. Bene. Siete arrivati.

[Il tempo a disposizione per riempire la pagina bianca: 5 minuti, cronometrati; il momento più critico: quando ha chiesto anche a me di leggere a voce alta, davanti all'intera classe...].

jueves, diciembre 16, 2010

Addio a Blake Edwards

Che peccato! E' morto anche lui! Il regista di questo:


E di questo:
E di quest'altro:


E di quest'altro ancora:


sábado, diciembre 11, 2010

TRADURRE E' SEMPRE UN'IMPRESA


Non so se è qualcosa che capita solo a me, che sono un principiante, una cacchetta, un Don Nadie (come direbbero gli spagnoli) nel campo della traduzione (anche perché, quella che sto cercando di portare a termine in questi mesi, è solo la prima delle mie possibili traduzioni).... Però, il punto è questo: tradurre è un'attività folle, o che può indurre a uno stato d'irrazionalità costante. La frequentazione quotidiana di un testo letterario e il tentativo costante di trasportare quel testo scritto in una certa lingua in un testo scritto in italiano sono attività "infinite" e infinitamente complesse per le quali non c'è (apparentemente) fine...Non si finisce mai di trovare soluzioni ideali. Non si smette mai di trovare "un altro modo" per dire (quasi) la stessa cosa.
Tradurre può indurre chi lo fa a non dormire la notte (o a rimuginare tutta notte) per la scelta di un sinonimo che potrebbe calzare meglio in quella determinata frase. E se uno si mette a riflettere su quanti sinonimi possiamo usare per rendere bene il pensiero espresso da certe frasi, beh, si rischia davvero di non finire più (o di finire al manicomio).
Esempio stupidissimo: si sa che l'avvocato emette "pareri" e il giudice "sentenze". Ma cosa succede quando è il giudice a dare il suo "parere" su un certo caso ed è l'avvocato ad emettere la "sentenza" o il "verdetto"? Non potrebbe mai darsi (sul piano della realtà) che un avvocato - come un giudice - emetta "sentenze" e "verdetti"? E se, invece, sul piano della letteratura, ciò fosse possibile? Come se la dovrà cavare il traduttore nella scelta del termine (o del sinonimo) giusto, tra "sentenza", "verdetto", "parere"?
Sono infiniti (o lo sembrano) i modi per dire (quasi) la stessa cosa. Solo che a un certo punto (per non impazzire del tutto) anche il traduttore deve fare una scelta definitiva, deve fermarsi, deve auto-imporsi l'imperativo assoluto "smetti". Perché sennò rischia di impazzire; e perché altrimenti anche quella frase rischia di venire riscritta all'infinito... E ciò è impossibile: perché una frase che durasse all'infinito sarebbe una follia; e perché anche i libri devono finire. Il bello dei libri è che abbiano una fine (certa e univoca, anche quando il libro si presenta come "opera aperta"). E il bello delle traduzioni è che, pur essendo tutte - sempre - contingenti, devono arrivare a una versione che sia quella concepita, vista e presentata come "definitiva"...

miércoles, diciembre 08, 2010

Brevissimo breviario sulla scrittura nabokoviana (a partire da Ada o ardore)



Questo è solo un tentativo di stendere un breviario (brevissimo) sulla scrittura di uno degli autori che più amo rileggere (e ad ogni nuova lettura i suoi libri regalano nuove scoperte o preziosi dettagli che, la prima volta, ci erano sfuggiti da sotto gli occhi); il tentativo prende le mosse da uno dei suoi romanzi più affascinanti e (a mio modesto giudizio) più complessi: Ada o ardore, del 1969, poi rivisto nel 1970 e apparso in Italia nel 2000 per Adelphi con traduzione di Margherita Crepax...Cominciamo:

1- La scrittura di Nabokov è fatta di immagini; spesso, di immagini poetiche (o che non sfigurerebbero in un componimento poetico); eccone un piccolissimo esempio (l'azione che il narratore ci segnala è banale, nella sua quotidianità, ma diventa subito “straordinaria” - extra-ordinaria – fuori dalla normalità – per il modo in cui è descritta e inquadrata):

Sempre ansante, il cameriere accostò le tende: ormai del giorno non rimanevano che pittoresche rovine ('Ada o ardore', Milano, Adelphi, 2000, p. 263);

2- La scrittura di Nabokov è spesso metaletteraria: ovvero, gioca con i meccanismi stessi che stanno alla base della scrittura (romanzesca) e tende alla metafinzione; è come se lo scrittore, nel momento stesso in cui sta scrivendo, si scostasse leggermente dalla pagina che sta componendo per farci vedere (per far vedere a noi lettori) che quanto leggiamo è finzione e, quindi, gioco di parole dell'autore con il linguaggio; un gioco serio, anzi, serissimo, tanto che l'autore si erge a Dio della sua opera e rende noi lettori dei coprotagonisti inconsapevoli della stessa; smonta l'opera per farci entrare dentro i suoi meccanismi e dirci...molte cose, su noi stessi, sui romanzi e sulla letteratura in quanto creazione di mondi fittizi; ecco l'esempio:

Avevano preso un'infinità di precauzioni – tutte perfettamente inutili, perché niente può cambiare la fine (scritta e archiviata) di questo capitolo (id., p. 446).

3- La scrittura di Vladimir Nabokov tende a creare mondi fittizi a partire da quello reale per poi sganciarsi da ogni pretesa di verosimiglianza. Al Nostro non interessa parlare di realtà (o della “realtà oggettiva”). Interessa piuttosto parlare di quello che, pur appartenendo alla realtà, sfugge alla nostra attenzione e al nostro sguardo. La scrittura nabokoviana è quello sguardo (quella vista supersonica) che ci permette di recuperare i particolari più nascosti e più originali, più strani e, al contempo, pure più quotidiani, su cui raramente siamo spinti a riflettere (è la scrittura che si interroga su cos'è il ricordo, il passato, il sogno, il destino, il caso, etc.). Proprio per questo, la scrittura di Nabokov non ha limiti; non conosce freni; non si ferma davanti a niente: e l'autore lo sa, ne è cosciente, anche in modo narcisistico ed egocentrico, oltre che ironico:

Non puoi immaginare” - “Io posso immaginare tutto”, ribattè lui (id., p. 493).

4- Nabokov parla di sé anche quando sta descrivendo una farfalla o una montagna; ma non riesce a parlare di sé in prima persona e in modo esplicitamente autobiografico, come fanno molti: la sua è una scrittura che rifugge dalla messa in mostra (pubblica) dei propri stati d'animo e dei propri sentimenti:

Non conosco l'arte di scandire i miei lamenti (id., p. 392).

5- La scrittura nabokoviana ha un che di erotico anche quando non parla di erotismo (o di ciò che si potrebbe associare all'erotismo: il corpo nudo o svestito, il sesso, la passione, il folle accavallarsi delle mani e dei pensieri mentre facciamo l'amore, etc.). L'esempio che adduco può contraddire quanto ho appena detto: ma lo faccio, perché mi piace e perché rende benissimo l'idea di che cos'è la poesia (di Nabokov) e di che cos'è scrittura erotica (per me):

Il nostro miserabile libertino non potè fare a meno di intenerirsi alla vista dell'ideale simmetria di quelle squisite fossette gemelle che solo i giovani corpi perfetti hanno, appena sopra le natiche, nella cintura sacrale della bellezza (id., p. 429 – sia detto per inciso, e en passant, una scrittura del genere riempie Lolita, ossia: il romanzo che rese internazionalmente famoso Nabokov; ma credo che ne approverebbe il ritmo, la bellezza, la concisione geometrica, la musicalità interna anche uno come Proust; un brano del genere potrebbe anche sembrare una citazione dalla Recherche, se non lo si specificasse prima – e se si volesse far agitare Nabokov nella tomba – anche se lui l'amava, la prima parte del romanzo-mostro di Proust).

6- La scrittura di Nabokov è filosofica malgré soi; Nabokov non aveva molta simpatia per i filosofi di professione; né per gli psichiatri (considerava Freud una specie di ciarlatano, o un cantastorie, e la psicanalisi una specie di favoletta per bambini). Però ci sono dei brani, all'interno dei romanzi di Nabokov, in cui il lettore è invitato a riflettere secondo lo stile della filosofia (uno stile che consiste nel meravigliarsi – la meraviglia è, secondo Aristotele, la causa prima che spinge l'uomo all' “amore per il sapere” - e nel porsi domande senza avere per forza il bisogno di trovare le risposte giuste; oltre che nello smontare quelle risposte che sembrano ovvie e correte, ma magari lo sono in rapporto a domande malposte). Ecco due esempi, estratti da due “luoghi” del romanzo che sembrano, ma non sono, molto distanti tra loro:

[…] ci sono milioni di strade principali al mondo (id., p. 321)

e, ancora più inquietante:

Le strade si muovono (id, p. 497).

7- Infine, e per dare una conclusione (almeno parziale o apparente) a questo brevissimo breviario, la scrittura di Nabokov è piena d'ironia. Può anche stare lì a parlarci di morte, dell'enigma del tempo, delle nostre paure più ancestrali, di incubi e di caducità dei beni terreni, ma Nabokov è un autore che non sa rinunciare all'ironia (e, anche, all'auto-ironia). Anche stavolta voglio citare due frasi, diverse, ma simili, proprio per il tono ironico che contraddistingue questo grande scrittore (e con loro mi fermo):

[…] sono allergico all'allergia (id., p. 451)

e (una delle più belle fra tutte)

[…] noi siamo visitatori e investigatori di un davvero strano, strano universo (id., p. 121).

Letture pasquali Provo a leggere, in queste vacanze pasquali, tra una corsa in bicicletta in alta montagna e le mangiate assurde previste da...