miércoles, septiembre 29, 2010

I dubbi (eterni) del traduttore (II)

Tradurre è un'impresa sempre ardua; il traduttore lavora su un materiale perennemente instabile e incerto; non c'è lingua che stia ferma: le lingue cambiano (nel corso del tempo) e le parole cambiano di significato a seconda del contesto, del secolo in cui vengono scritte o pronunciate, del parlante che le usa, delle intenzioni con cui il parlante (o lo scrivente) le usa. Se quindi ci impegniamo nella traduzione di un testo letterario, beh, allora lì sì che sono cavoli amari...e se il testo in questione risale al XVII sec. (1631, per essere esatti, com'è ora il mio caso), beh, allora sì che si rischia di impazzire.

Un esempio banale di come la traduzione deve fare i conti con interpretazioni incerte: un personaggio del romanzo che sto traducendo viene addormentato da una dama attraverso un sonnifero versato in un bicchiere. Il testo originale dice che la dama versa il sonnifero “en su bebida”. Ora, se traduciamo letteralmente (e interpretiamo la parola “bebida” nello spagnolo di oggi), dovremmo limitarci a dire che “la dama versò il sonnifero nella sua bevanda”. Ma a che bevanda voleva riferirsi esattamente l'autore? Ovvero: il narratore a cosa sta pensando quando dice “bebida”? Si tratta di acqua? Di vino? Di birra? Cosa bevevano, a quei tempi, i nobili che venivano invitati a cena a casa dalle dame? Faccio notare che non si tratta di dame “nobili”, ma di dame... “di compagnia”...quelle che oggi Berlusconi chiamerebbe “escort”... Ecco che il traduttore si vede costretto a ricorrere all'immaginazione. Deve rischiare; deve tirare a indovinare. Il lettore italiano che leggerà “vino”, o “birra”, o più semplicemente “acqua”, nel testo tradotto, non sospetterà minimamente dei dubbi atroci che hanno spinto il traduttore ad optare per l'una o l'altra “bevanda” (o “bebida”)...

Altro esempio banalissimo: il personaggio di cui sopra si addormenta; il sonnifero ha fatto effetto. La dama lo porta in camera da letto e, non appena il galante appoggia la testa sul cuscino, crolla addormentato. Solo che nel testo originale c'è scritto “en las almohadas”, che, letteralmente, vuol dire: “sui cuscini”. E' chiaro che qui tutti capiscono cosa voglia dire l'autore: nella camera da letto di una dama (o escort) del 1600, in Spagna, a Madrid, c'erano più cuscini e non un cuscino solo (e forse la cosa è valida ancora oggi, non saprei, non sono esperto di escort, ma immagino che sia lo stesso per i letti delle escort contemporanee...). E quindi, a rigor di logica, tradurre: “appoggiò la testa sul cuscino” è la stessa cosa che tradurre: “appoggiò la testa sui cuscini” (o “fra i cuscini”). Eppure...non è proprio la stessa cosa...la sfumatura si perde. Anche se il senso rimane.

Gli esempi potrebbero moltiplicarsi per quelle parole che oggi hanno un significato ben delimitato e ieri (diciamo pure tre o quattro secoli fa) ne avevano un altro. Un conto è dire “ingenio” nel XXI sec. e un conto è dirlo nel XVII (essendo la persona dotata di “ingenio” non solo quella intelligente, ma anche quella furba, astuta, sempre pronta a trovare la soluzione ai problemi che gli si parano davanti; o anche: la persona dotata di una ricca immaginazione – è per questo che Don Quijote è detto l' “ingegnoso” idalgo...). E lo stesso dicasi per “discreto”: oggi indica la persona dotata di “discrezione”; quella moderata nei modi; all'epoca denotava esattamente l'opposto: la persona in grado di adattarsi al prossimo, quella che inganna il prossimo senza farsi notare; in un aggettivo “italianeggiante” potremmo dire: quella che agisce in forma “machiavellica”...

Tradurre è un'impresa ardua; e dovremmo essere tutti più grati verso i traduttori che fanno un lavoro duro e faticoso grazie al quale possiamo avere l'opportunità di conoscere le opere di altri paesi e altre culture...

[Che poi esistano traduttori da strapazzo; che certe case editrici – anche famose – si concedano il lusso di pubblicare traduzioni fatte coi piedi; che insomma ci siano sia traduttori che editori senza scrupoli, beh, questo è un altro paio di maniche, come si suol dire...]

jueves, septiembre 23, 2010

Le nostre risposte

I
Quanto è lunga la vita e come è strana
Quanto è lontana la città a quest’ora!
E ieri – non ti conoscevo ancora.
E domani – chissà se ti vedrò.
Cerco la mia collana e non la trovo
E il pettine non è dove credevo.
Si è fatto tardi – e devo salutarti.
E non so più se mi vuoi bene o no.

II
Forse una donna vuol sapere troppo
Ma anche tu vuoi sapere e non lo chiedi.
Che cosa pensi quando non mi vedi?
Che cosa vedi quando pensi a me?
Cerchi le sigarette e non le trovi,
Cerchi d’essere allegro e non ci arrivi.
Si è fatto tardi e devi salutarmi.
E non sai più chi ero e chi sarò.

III
Quanti anni son passati su noi due.
Quanto è breve la vita e come è strana.
Quel che era vicino s’allontana,
Quel che era lontano è accanto a te.
Cerchi la giovinezza e non la trovi.
Ma ora sai che cosa le chiedevi.
Si è fatto tardi – e siamo ancora insieme
A domandarci quel che non si sa.
“ohè, ma dico, Fortini, a sessant’anni
non sai ancora se Iddio c’è o non c’è?”

“non c’è!” grido, “non c’è!”. ( ma Iddio mi danni
se lo so, dico tra me).



Franco Fortini da Poesie Inedite

[Grazie Luca, per avermela segnalata...]

lunes, septiembre 20, 2010

Roma, con i suoi odori e i suoi angoli e i suoi rumori...

Ogni volta che ci torno mi succede sempre la stessa cosa...Non posso farci niente, è come una condanna, Roma mi ha stregato, sono sotto il suo incantesimo, dal 1996...

Basta che io metta piede alla Stazione Termini per risentirmi vivo e vegeto; anzi, iperattivo ed energico...Tutta questa gente che scappa, che corre a destra e a sinistra, e non ci si capisce niente...

Roma mi ha conquistato, coi suoi odori, i suoi cattivi odori, i tubi di scappamento delle macchine, le marmitte truccate dei motorini, le sirene della polizia, quelle dei carabinieri e delle autoambulanze, i rumori che fanno i netturbini coi loro camion automatici nel cuore della notte fonda, le grida dei bambini e dei neonati a spasso nei loro passeggini al Colle Oppio, di fronte alla maestà del Colosseo, i pezzi o i mozziconi dei dialoghi comici dei romani, che fanno ridere anche quando parlano sul serio o litigano, perché er dialetto romanesco è no spettacolo a cielo aperto, e i romani son tutti un po' attori d'avanspettacolo...

Roma mi ha conquistato per la sua enorme grandezza; ci puoi vivere tutta una vita, ma non finirai mai di scoprirla tutta...Ci sono quartieri che un romano non ha mai visitato o non ha mai sfiorato neppure in macchina in tutta la sua vita (compresi i quartieri che hanno cattiva fama come il Tufello, Tor Bella Monaca, San Basilio, la Garbatella e Spinaceto...e tanti altri ancora)...


Roma con il Vaticano, e la grandezza della cupola della basilica di San Pietro; Roma con il suo Lungotevere, e il Tevere che fa acqua da tutte le parti; Roma con Piazza della Repubblica e la bellezza floreale della scalinata di Trinità de' Monti; Piazza di Spagna e le vetrine di Via del Corso; Piazza del Popolo e la vista panoramica dal Pincio, Via Merulana e l'oasi multicolore di Piazza Vittorio...quanti luoghi da ripercorrere ancora una volta, sempre e comunque, come se fosse la prima volta...

miércoles, septiembre 15, 2010

Alain de Botton, Come Proust può cambiarvi la vita, Parma, Guanda, 2003

Adoro i libri che contengono immagini; vado pazzo, ultimamente, per i romanzi o i saggi che, allo scritto, alternano le figure (siano queste riproduzioni di quadri famosi, oppure foto, ritagli di giornale, fotocopie di copertine di altri libri, disegni, riproduzioni di fotogrammi di film, etc. etc.).

E' una passione che è nata leggendo W.G. Sebald (non esiste – quasi – libro di Sebald che non contenga immagini; basti pensare, ad esempio, al suo splendido Storia naturale della distruzione, o al “devastante” Austerlitz, o ai racconti che fanno parte della raccolta intitolata Vertigini, etc. etc.); passione che ho coltivato e riscoperto leggendo il collega e “pen-friend” di Sebald, lo spagnolo Javier Marías (che di immagini se ne intende; ha anticipato anche Sebald quando, nel lontano 1989, colpì non pochi lettori, introducendo nel suo Todas las almas la foto di un personaggio morto che sembrava fittizio ma era vissuto sul serio; e così via, poi, fino a Negra espalda del tiempo, per finire con il romanzo “proustiano” in tre puntate Tu rostro mañana...).

Le immagini le sapeva usare in modo molto umoristico (o ironico e satirico) anche un altro grande scrittore di racconti, l'argentino Julio Cortázar (basti prendersi la briga di andarsi a leggere – a guardare, sarebbe meglio dire – il suo delizioso Último round, raccolta di racconti, articoli e testimonianze varie dal tono assolutamente surrealista). Ma intervallato armonicamente da immagini è pure l'ultimo romanzo di Umberto Eco, ovvero: La misteriosa fiamma della regina Loana (2004), sorta di rievocazione malinconia e di narrazione fiabesca dell'infanzia dell'autore...

Prima di Sebald, Marías, Cortázar o Eco (i nomi non sono scelti a caso: a tutti questi autori ho dedicato un articolo, a suo tempo, dal titolo spagnolo: “Visiones transverales: los documentos visuales en algunas novelas contemporáneas”), possiamo pensare anche agli “emblemi” di Alciato, nel cui Emblematum liber si dimostra, appunto, l'efficacia di spiegare certe verità morali o tratti umani unendo le immagini alle parole... E dopo di lui, come non citare il reverendo Sir Laurence Sterne, che con il suo The life and opinions of Tristram Shandy deve aver fatto impazzire il suo editore-stampatore; Sterne è un anarchico, in quanto al rispetto dell'ordine delle parole e/o delle immagini all'interno della pagina. E' lui che si è inventato, per primo, la pagina in bianco (che il lettore la riempia da solo con la sua immaginazione!) o la pagina “marmorizzata” (per imitare la tessitura di una lapide) o la pagina intervallata dagli schemi pre-strutturalisti sull'andamento della folle trama che il Narratore non riesce (o vorrebbe tanto riuscire) a portare a termine...

E così, oggi mi ritrovo ad andare in giro per librerie per cercare libri che contengano immagini (libri le cui immagini siano non tanto una sorta di “accompagnamento” al testo, ma “parti fondanti” il senso profondo del testo stesso).

Gli ultimi due acquisti sono stati questi: Antoni Mączak, Viaggi e viaggiatore nell'Europa moderna, Roma-Bari, Laterza, 1994 (in offerta fino al 17 Ottobre a 6,90 euro!) e il succitato Alain de Botton, Come Proust può cambiarvi la vita, un libro davvero divertente e che consiglio anche a chi non ha mai letto nulla di Proust...

Alain de Botton mi ricorda molto da vicino un altro scrittore che ama introdurre foto nei suoi pseudo-saggi (e questo qui di de Botton è sicuramente uno “psuedo-saggio”!), ossia: Geoff Dyer, l'autore del bellissimo L'infinito istante, una specie di “storia della fotografia” riscritta a partire dalla passione e dai gusti e dall'estro narrativo dell'autore.

Come Dyer, così de Botton ha il dono di parlarti di cose complicate in modo ameno e tono quasi scherzoso. Il suo libro trasuda ironia; di sicuro avrà fatto storcere il naso ai critici professionisti (o accademici) di Proust, proprio perché a lui non interessa affatto affrontare Proust (e la sua Recherche) come un classico da scandagliare, analizzare o psicoanalizzare a fondo.

A de Botton interessa raccontare e intrattenerci. E' con il suo racconto (e la sua capacità di intrattenere) che veniamo a scoprire dei tratti di Proust che, in un primo tempo, non avremmo mai notato.

Scopriamo, così, che il padre di Proust era un medico famoso e molto apprezzato per i suoi saggi su “come stare meglio” (saggi sull'igiene domestica, come si chiamava all'epoca); che Proust era un terribile ipocondriaco, nonostante avesse il medico in famiglia; che per Proust gli amici erano fondamentali, anche se aveva un concetto molto particolare dell'amicizia e ne soffrisse parecchio, anche se in silenzio... Ed è proprio nel capitolo VI (dedicato al “Come essere un buon amico”) che trovo una delle definizioni migliori della Recherche (checché ne dicano gli specialisti):

Uno dei modi possibili di vedere la Recherche è considerarla una lettera mai spedita e incredibilmente lunga, l'antidoto a una vita di proustificazione, la seconda faccia di Atena, dei regali sontuosi e dei crisantemi dal gambo lungo, il posto dove finalmente poter dire l'indicibile” (id., p. 131).

Ecco: la Recherche è davvero il POSTO IN CUI PROUST HA AVUTO IL CORAGGIO DI DIRE L'INDICIBILE...

E con ciò mi riaggancio a una riflessione che feci tempo fa (e di cui parlai per email anche con l'autrice del blog "Non solo Proust"), quando ero ancora immerso nella lettura del “mostro”: Proust, a dispetto dell'immagine che è passata attraverso la leggenda urbana e i pareri della critica, non è affatto uno scrittore romantico, o sdolcinato, o sdilinquito...tutt'altro! E' uno scrittore crudele, dotato di una tale lungimiranza, di una tale capacità di penetrare nello schifo dell'animo umano da esser riuscito a dire delle cose che sono vere e valide ancora oggi...cose di cui sia lui che noi potremmo ancora oggi vergognarci...e che però stanno lì, nascoste o appartate o assopite, dentro il “nostro Io” più profondo.

Anche solo per questa riflessione, dovremmo essere grati a quel simpaticone di Alain de Botton (a giudicare dagli altri suoi titoli, sembra l'autore di una serie di guide per la sopravvivenza; ecco i titoli: Esercizi d'amore – Il piacere di soffrire – Cos'è una ragazza...ah, bellissimo questo! Cos'è una ragazza!!!).

Chiuderei con un'altra citazione che ci fa capire come Proust, scrivendo quello che ha scritto, sia riuscito a inventarsi un lettore che sa “guardare a fondo” o “oltre le apparenze”:

Uno dei benefici effetti derivanti dal leggere un'opera che coglie i fremiti più impercettibili dei personaggi è che, una volta messo giù il libro e ripresa la nostra vita, possiamo occuparci esattamente delle stesse cose verso cui l'autore si sarebbe mostrato sensibile, se lui o lei fosse stato in nostra compagnia. La nostra mente si trasforma in un radar messo a punto di fresco per cogliere i più piccoli oggetti galleggianti sulla coscienza: sarebbe come portare una ricetrasmittente in una stanza che credevamo silenziosa e renderci conto che il silenzio esisteva solo entro i limiti di una frequenza e che sin dal principio, in realtà, la stanza era invasa dalle onde sonore provenienti da una stazione ucraina o dalle chiacchiere notturne di una compagnia di taxi” (id., p. 33 - sottolineature mie)

Proust riesce a metterci in testa quel radar...e solo pochi scrittori sanno fare una cosa del genere...

lunes, septiembre 06, 2010

Cosa c'è che non va (?)



C'è una citazione di Antonio Moresco che mi gira e mi rigira in testa da un po' di tempo a questa parte (diciamo: da quando sono tornato da Salamanca): "E come si fa a sbagliare una cosa nell'unico modo che ci permetterebbe di non sbagliare?" (da quel capolavoro caotico che è Canti del caos). C'ho quasi 33 anni, cazzo, e più vado avanti e più dubito di ogni cosa... Sbagliavo di meno quando ero più giovane. Forse. Mi sono perfino fatto il profilo su Facebook...cosa che non avrei mai pensato, qualche anno fa, e invece...mi son lasciato convincere proprio da quegli amici di Salamanca di cui nel post qui sotto...

Vorrei tornare a leggere Lettere a Lucilio di Seneca: lì potrei trovare le risposte (o parte delle stesse); che le risposte fondamentali alle domande che pone la vita non si trovano sempre nei libri, anzi...

Ho una fidanzata che mi ama; una ragazza dolcissima e molto bella, che per me si dannerebbe l'anima; ho un lavoro che mi piace (anche se, come tutti quelli che ho fatto fino a oggi, è precario; temporaneo; a scadenza); ho una bella casa in cui stare, anche se Firenze non mi piace molto; ho amici e contatti in ogni dove; se vado a Roma c'è Dadda, mio fratello, che può prestarmi il letto; se vado a Pisa c'è Nicola; se a Madrid c'è Ambra... con quelli di Salamanca, poi, si è allargato il giro...c'è l'imbarazzo della scelta...

Sono di sana e robusta costituzione. Di cosa cazzo mi lamento? Perché non mi sento felice? Cosa c'è che (mi) manca?

Ancora oggi mi sento come Ulisse; in perenne viaggio, verso una mia Itaca che forse nemmeno esiste...Arriveremo in porto? Chi lo sa...33, gli anni di Cristo...lui è risorto (o almeno: così ci dicono i Vangeli)...

jueves, septiembre 02, 2010

Madrid (VI): ¡adiós Salamanca, hasta pronto, muchachos!


Ognuno di loro ha apportato qualcosa di significativo all'interno del gruppo; ognuno di loro, indipendentemente dalla nazionalità d'origine, ha cercato di interagire con gli altri, apportando il proprio personale punto di vista; ognuno di noi, grazie al contatto costante e quotidiano con il resto del gruppo, ha appreso qualcosa di nuovo ed ha ampliato la propria personale visione del mondo; ognuno di loro mi ha lasciato un'impronta, un sorriso, un'immagine, un ricordo che non dimenticherò per molti anni a venire.


Buon ritorno e arrivederci a presto, “colegas”...



Special thanks to: Petra (dalla Croazia); Luca (da Pesaro); Anna (da Lecce); Aleksander e Malgosia (dalla Polonia); Rossella (da Taranto); Khadija (dal Marocco); Jana (dalla Repubblica Ceca); Valerie (dalla Corsica); Hedi (dalla Tunisia); Christophe (dalla Francia); Cristina (dalla Romania); Jessica (da Rieti); Christine (dalla Germania); Marina (dalla Russia); Helen (dall'Irlanda); Ambra (da Madrid) e Patri (dal Messico).


P.S.: anche se dalle foto non si direbbe, siamo tutti (chi più chi meno) profes. E' che le foto sono state scattate durante la notte più "goliardica" che abbiamo passato insieme; come ritornare tutti alunni (beata gioventù!).

 Un incubo (letterario) La fortuna (o il caso o  il destino o chiunque si trovi a gestire le nostre vite terrene) ha voluto che, un paio di ...