miércoles, julio 21, 2010

Come le Mille e una notte



Oggi, 21 Luglio del 2010, ho finito la Recherche. Non riesco ancora a riprendermi dall'emozione; brividi lungo la schiena e pelle d'oca. Anche a me, come a Marcel, sembra di non riuscire più ad alzarmi, mi sembra di cadere o sbattere contro gli oggetti esterni che mi circondano, mi sembra di svenire (e per questo vorrei ora distendermi su un letto e riposarmi dopo una traversata del genere, ma non posso, perché non sono a casa, ma su un treno, in movimento, da Roma a Firenze, e poi forse, anche fossi stato a casa, avrei evitato il letto e mi sarei sdraiato sul pavimento, come per avere un contatto tangibile con la terra ferma)...
“Un giorno anche i miei libri, come il mio essere di carne, avrebbero certo finito per morire. Ma bisogna rassegnarsi a morire. Si accetta il pensiero che fra dieci anni noi, fra cento anni i nostri libri, non ci saremo più. La durata eterna non è promessa ai libri più che agli uomini” (vol. 4 dell'ed. Meridiani Mondadori, p. 755).
Vorrei piangere. Sono commosso. Sono pochi (me ne rendo conto solo oggi) i libri che riescono a farti commuovere in questo modo strano, così strambo e irrazionale che ti spinge a richiudere il libro e a voltare l'ultima pagina e a restare ancora per diversi minuti a bocca aperta...
Il passeggero che mi è seduto davanti (un vecchio arzillo con i capelli scompigliati sul cranio e un paio di occhiali con le lenti spesse del miope) mi dice qualcosa in inglese, lì per lì non lo capisco, e così ripete:
“Are you a teacher?”.
Non credevo di avere la faccia da “teacher”; comunque è la verità, gli dico di sì, s'interessa per il libro che ho appena finito di leggere, riempiendolo di sottolineature a penna, a matita, di frasi a margine, di appunti, di spunti e d'idee varie nate sul momento...
Legge e cita ad alta voce il titolo del libro:
“Alla ricerca...del...tempo...perduto...Oh, yes, In Search of Lost Time, I know it, Proust!”.
Anche lui è un professore; di Matematica; dell'Università del Cleveland. Ora è in pensione. Mi confessa che adesso sì, avrebbe tutto il tempo per leggere questo romanzo.
Penso alle ultime immagini del libro: i riferimenti sparsi a molte delle poesie che Victor Hugo scrisse in vecchiaia; le allusioni a Le mille e una notte; e vorrei che Proust-Marcel continuasse ancora a parlarmi e a raccontarmi di sé e di tutti quegli uomini e donne di mondo che ha conosciuto in vita, vorrei che continuasse a scrivere e a raccontare, come fosse una nuova Sherezade...
“...non essendo il mio libro che una sorta di quelle lenti d'ingrandimento come ne offriva a un cliente l'ottico di Combray; li avrei muniti [i miei lettori], grazie al mio libro, del mezzo per leggere in se stessi” (id., p. 743).
Fin

lunes, julio 19, 2010

Pirandello e Avezzano (AQ)

Al professor Gentile (di nome e di fatto)

L'UOMO DAL FIORE: Ma che povera signora! Vorrebbe, capisce? ch'io me ne stessi a casa, quieto, tranquillo, a coccolarmi in mezzo a tutte le sue più amorose e sviscerate cure; a godere dell'ordine perfetto di tutte le stanze, della lindura di tutti i mobili, di quel silenzio di specchio che c'era prima in casa mia, misurato dal tic-tac della pendola del salotto da pranzo. - Questo vorrebbe! Io domando ora a lei, per farle intendere l'assurdità... ma no, che dico l'assurdità! la màcabra ferocia di questa pretesa, le domando se crede possibile che le case d'Avezzano, le case di Messina, sapendo del terremoto che di lí a poco le avrebbe sconquassate, avrebbero potuto starsene tranquille sotto la luna, ordinate in fila lungo le strade e le piazze, obbedienti al piano regolatore della commissione edilizia municipale. Case, perdio, di pietra e travi, se ne sarebbero scappate! Immagini i cittadini di Avezzano, i cittadini di Messina, spogliarsi placidi placidi per mettersi a letto, ripiegare gli abiti, mettere le scarpe fuori dell'uscio, e cacciandosi sotto le coperte godere del candor fresco delle lenzuola di bucato, con la coscienza che fra poche ore sarebbero morti. - Le sembra possibile?

Luigi Pirandello, L'uomo dal fiore in bocca, 1922.

sábado, julio 17, 2010

Incostanti e incontentabili

Parlando con amici e conoscenti, discutendo con persone care di amore e di rapporti sentimentali, di matrimonio e di convivenze varie, m'accorgo sempre di più di quanto siamo incostanti (nei nostri desideri) e incontentabili (nelle nostre aspirazioni).

Chi ha già una moglie, continua a desiderarne un'altra, magari più bella (o più alta o più brava a letto o in cucina); chi ha già un'amante, continua a immaginarsi come sarebbe più bella e movimentata la propria vita se all'attuale si aggiungesse una nuova tresca; chi ha una bella casa, ma paga l'affitto, vorrebbe fare un mutuo per diventarne il legittimo proprietario; chi è già proprietario d'una bella casa, immagina come sarebbe più confortevole la propria vita se solo potesse avere una casa ancora più grande e spaziosa (e luminosa).

Siamo incontentabili e incostanti per natura (o almeno credo). Non ci accorgiamo di quello che abbiamo sotto gli occhi o lo diamo per scontato (perché è lì, sotto gli occhi, "saputo" e "noto" e perciò poco "attraente"). Non ci soddisfa la vita che conduciamo perché con l'immaginazione in movimento è impossibile non pensare ai vari "se" o "come sarebbe stato se" (le ipotesi ancora possibili - sul piano del futuro - e quelle impossibili e ormai irrealizzabili - su quello del passato remoto)...

Non siamo mai contenti. Corriamo, facciamo e disfiamo tutto, in una furia costante che ci fa girare come trottole sulla "ruota del mondo", come fossimo tutti un po' folli e un po' dementi...

Siamo schegge impazzite che non sanno poi bene dove andare e cosa fare per raggiungere i molteplici sogni di cui ci nutriamo...Il mondo è pieno di tentazioni, è difficilissimo non cedere loro, complicatissimo rispettare se stessi e gli altri, non tentennare, non tornare sui propri passi, non calpestare gli altri (o i passi degli altri che ci stanno affianco)...

In amore sbagliamo spesso strada; ci confondiamo e confondiamo la persona che crediamo (o credevamo) d'amare, e quando poi riconosciamo la verità è spesso troppo tardi per tornare indietro, rettificare, chiedere scusa e riprendere il cammino insieme...

Quanto sono stato stupido, diciamo con tono vittimista o falsamente tale... Che errore madornale, che svista! Quanto ho sbagliato a dirti quelle cose, quanti piani falliti, che illusione assurda, quanti specchi infranti, che litigate furibonde per un nonnulla, quanti lamenti e quante lacrime inutili, quanta voglia di riaggiustare quanto è ormai completamente a pezzi, rotto, distrutto...

Lo dice anche Proust, con la consueta eleganza (e l'immancabile "crudeltà" priva di fronzoli):

"E' raro che una donna che amiamo soddisfi tutti i nostri bisogni, e la inganniamo con una che non amiamo"...

Siamo persone di cui ci si può fidare poco...Siamo uomini di poca fede che cercano fede in posti sbagliati...Siamo sempre troppo incostanti e incoerenti e incontentabili...

jueves, julio 15, 2010

Piano-ferie?


Bastano un paio di telefonate e un paio d'email per cambiarti la giornata (e forse la vita): grazie alle due telefonate so per certo che: a) il 22 Luglio mi operano (una robetta da niente, mi assicurano, è un "day hospital", dovrebbe durare una mezzora e poi fuori...o almeno lo spero, gli ospedali li odio, e poi sono altamente ipocondriaco) e che: b) il 19 Luglio dovrò fare un importante colloquio di lavoro nel Sud della Penisola. Invece, grazie alle due email sono venuto a scoprire (con enorme gioia) che: a) sono vincitore unico per la regione Toscana di una borsa di studio messa a disposizione del "Ministerio de Asuntos Exteriores" spagnolo (e grazie a questa borsa seguirò un corso di specializzazione all'Università di Salamanca dal 15 al 28 Agosto); e che: b) sono già con un piede in Spagna, perché uno dei miei migliori amici mi ha trascinato nel suo progetto per le vacanze tra Madrid e Barcelona e Girona e ha già comprato i biglietti aerei per entrambi (dal 4 al 13 Agosto). Ergo: mi sa che per l'intero mese di Agosto starò lontano dall'Italia! E questo mi alletta, mi rilassa, mi rallegra, mi entusiasma parecchio...Sì, è vero: la traduzione è in alto mare, la situazione sentimentale è a picco, l'Università italiana sta precipitando inesorabilmente verso il tracollo, la crisi c'è ancora e Berlusconi è ancora vivo, però...un po' di soddisfazioni ci vogliono nella vita, no?

lunes, julio 12, 2010

¡Que viva España!

Di questo Mondiale e della vittoria meritata della Spagna ricorderò, in particolare, il pianto irrefrenabile di Iker Casillas nel momento del fischio finale...


La partita non è stata un granché: troppi colpi bassi (soprattutto da parte degli olandesi); troppe interruzioni; troppo nervosismo; poco gioco spettacolare, come gli spagnoli ci hanno abituato a vedere sin dagli Europei del 2008. Però a me pare che questo ragazzo, capitano della Nazionale, sintetizzi bene l'atteggiamento che la squadra ha mantenuto sin dalla sconfitta contro la Svizzera: umiltà, serietà, voglia di giocare bene, e compattezza tra "i reparti", come dicono i telecronisti nel loro gergo assurdo...29 anni e una gioia irrefrenabile che non si ferma davanti alle telecamere di Telecinco. Questa qui sotto è la sua fidanzata, Sara Carbonero, giornalista sportiva: Casillas non resiste e la bacia davanti a tutti...(lasciando "la novia" a bocca aperta - l'unica cosa che riesce a dire è: "madre mia")...

...d'altronde, è la prima volta che la Spagna vince il Mondiale: è comprensibile (come è ovvio che quest'immagine resterà agli annali della Storia spagnola contemporanea - insieme alla data: 11/07/2010). E non oso immaginare quello che sarà successo per le strade di Madrid (o Barcelona o qualsiasi altra città...) ieri sera dopo la vittoria...¡Que viva España!

domingo, julio 11, 2010

Francis Ford Coppola’s Apocalypse Now e la Recherche: una cavalcata con Wagner.



E’ incredibile la quantità di cose che s’apprendono leggendo la Recherche (opera magmatica, mostruosa e infinita come poche). Uno è lì tranquillo che si gode le descrizioni molto cinematografiche che fa il Narratore della Prima Guerra Mondiale a Parigi (su Proust e il cinema credo esista più d’una monografia), quando all’improvviso s’imbatte in brani del genere (e leggendo gode, si gode lo spettacolo, e resta a bocca aperta, mentre un brivido percorre la schiena):
“Gli parlai della bellezza degli aerei che salivano nella notte. “E ancora di più, forse, di quelli che scendono, mi disse. Ammetto che è molto bello quando salgono, quando stanno per fare costellazione, e obbediscono in questo a leggi non meno precise di quelle che reggono le costellazioni, giacché quello che ti sembra uno spettacolo è il convergere delle squadriglie, i comandi che ricevono, la loro partenza in caccia, ecc. Ma non ti piace ancora di più il momento in cui, definitivamente assimilati alle stelle, se ne distaccano per andare in caccia o per rientrare dopo il cessato allarme, il momento in cui fanno apocalisse e nemmeno le stelle stanno più al loro posto? E le sirene, abbastanza wagneriane, no? – il che, del resto, era assolutamente naturale per salutare l’arrivo dei tedeschi, faceva molto inno nazionale, con il Kronprinz e le principesse nel palco imperiale, Wacht am Rhein; c’era da chiedersi se ad andar su erano degli aviatori o non piuttosto delle Valchirie”. Sembrava compiacersi di questa equiparazione fra aviatori e Valchirie, che spiegò, d’altronde, con ragioni puramente musicali. “Diamine, la musica delle sirene faceva talmente Cavalcata!”. Decisamente dovevano arrivare i tedeschi per poter sentire un po’ di Wagner a Parigi!”.
Sotto certi punti di vista, del resto, il paragone non era sbagliato. Dal nostro balcone la città appariva come un unico luogo fluido, informe e nero che dalle profondità e dalla notte passava di colpo nella luce e nel cielo, dove gli aviatori si lanciavano a uno a uno all’appello lacerante delle sirene […]. E, squadriglia dopo squadriglia, ogni aviatore si lanciava così dalla città, trasportata ora nel cielo, simile a una Valchiria. Tuttavia, qualche angolo della terra, all’altezza delle case, si illuminava e io dissi a Saint-Loup che se fosse stato a casa la sera prima avrebbe potuto, mentre contemplava l’apocalisse […]” (da Proust, Alla ricerca del tempo perduto. Il Tempo ritrovato, vol. IV, pp. 412-13 dell’ed. Meridiani Mondadori a cura di Luciano De Maria, sottolineature mie).
Ora, sarà stato un caso? Sarà dovuto a incredibile e sorprendete casualità? Sarà una stranissima coincidenza, ma non vi sembra che queste pagine proustiane contengano NON SOLO IL TITOLO, MA ANCHE UNA DELLE SCENE PIU’ BELLE ED EFFICACI del capolavoro di Coppola, Apocalypse Now? La famosa scena dell’attacco dell’aviazione americana a un piccolo villaggio di viet-cong sulle note della Cavalcata delle Valchirie? O non sarà che Francis Ford Coppola abbia girato questa scena (e abbia trovato quel titolo) proprio pensando a Proust e a queste pagine? E ancora: perché non ho mai letto nessun libro di critico cinematografico o esperto di Coppola che stabilisse un sia pur labile collegamento tra questo (brano letterario) e quella (scena cinematografica)? Ripeto: stiamo parlando di una delle scene più belle non solo di Apocalypse Now, ma, a detta di Quentin Tarantino e di altri registi ed esperti, di tutta la storia del cinema! Chiedo lumi, che qualcuno che sa dia consigli, lanci link utili, se sapete qualcosa di più, fatevi vivi, Gabrilù aiutaci tu (e fa pure rima!)…
Qui sotto il link da YouTube alla famosa scena (notare la disposizione degli elicotteri: sembrano dei bei giocattoli innocui – o dei mosconi neri inquietanti – disposti davvero in modo tale da “fare costellazione” o “fare apocalisse”, come dice Marcel – e come evoca Wagner con le note della sua musica “totale”):

martes, julio 06, 2010

Nostalgia di Roma

[come ogni anno in questo periodo dell'anno]


Nostalgia di Roma, delle sue strade trafficate e incasinate, piene di smog e di barboni che nemmeno ce la fanno a chiederti l'elemosina, tanto sono stanchi (o sbronzi o mezzo morti). Nostalgia della capitale e, in particolare, delle strade che ho percorso in lungo e in largo quando ero studente universitario e mi dilettavo di Letteratura... Dov'è, oggi, Via del Corso? E Largo Argentina? Quanti gatti pascolano, ancora, in mezzo alle colonne spezzate e agli altri resti dei Fori Romani davanti alla libreria Feltrinelli? Adoravo, all'epoca, andare da Via Merulana fino a Colle Oppio passando per Via Mecenate...E poi San Pietro, attraversare Ponte Milvio, costeggiare il Tevere fino alla famosa Isola Tiberina (inevitabile, il ricordo si sposta su quella sequenza quasi-pasoliniana in cui Nanni Moretti cammina da solo e poi corre e sale e scende dai parapetti dell'ospedale che si trova sull'Isola Tiberina, mentre pensa a suo figlio, a Pietro, che lo ha reso da poco padre, quanta poesia in quella passeggiata solitaria, con la moglie ancora dentro il reparto maternità, quanta dolcezza di neo-padre, in quella sequenza che dura così poco e colpisce così a fondo)... E poi i pub di San Lorenzo, quante serate passate a parlare di politica e donne insieme alle amiche di facoltà, davanti a una birra scura doppio malto, la Rive Gauche, oddio, te la ricordi la Rive Gauche? Esisterà ancora quel pub? E quella creperia e cornetteria aperta tutta la notte? E quella di Via Barletta, all'uscita della Metro Lepanto? Quant'erano buoni quei cornetti e quanto costavano poco (1000 lire, all'epoca, se non ricordo male - ci facevamo i kilometri, io e mio fratello, per andarli a comprare la notte e gustarli la mattina dopo sul tardi)...E il quartiere Ostiense, quello che ospitava l'Università rivale, la basilica di San Paolo Fuori le Mura, la Piramide Cestia (quasi un faro nelle notti alcolizzate dei primi tempi, quando serviva a orizzontarti e a indicarti la strada di casa)...E la Cristoforo Colombo fino al Luna Park dell'Eur (percorsa con scooter truccati lanciati a velocità non consentite dalla legge), per andare a seguire i concerti di Jovanotti e Ligabue (o Vasco Rossi), a quello che oggi chiamano il Palalottomatica (che orrore)...E poi il Viale dell'Università, Piazza Bologna, Via Stamira, Via Livorno, Via Nomentana percorsa in salita e a piedi fino a Via Carlo Fea numero 2, nella mitica, leggendaria sede distaccata di Lingue e Letteratura Straniere, la favolosa Villa Mirafiori...E la mensa di Viale Ippocrate (o forse era un'altra?), e Via del Castro Laurenziano, e Viale Regina Elena con quel tram, come si chiama, qual era il numero?, quel tram che attraversa mezza Roma, e porta su su, in cima, lungo Via Flaminia, fino a Via di Valle Giulia (architettura) e fino a Piazzale Thorwaldsen (da dove comincia la serie delle Accademie e delle varie Ambasciate, nei pressi o proprio in mezzo al verde di Villa Borghese)...E quanti libri letti sulle panchine di Villa Borghese, al tramonto, quante ragazze conosciute sulla scalinata di Trinità dei Monti, vicino la casa di Keats, e quanti tramonti (o albe) contemplate dal Pincio, quante passeggiate fino al McDonald di Piazza di Spagna, quante nottate passate a passeggiare davanti al Senato, in Via del Quirinale, prima di riprendere la lunga, infinita Via Nazionale e tornare poi a Piazza della Repubblica (Feltrinelli International e MelBookStore nel mezzo)...Oppure il percorso parallelo, Via Cavour, la salita di Via Giovanni Lanza prima d'incrociare nuovamente Via Merulana e passare per Via dello Statuto fino alle palme altissime di Piazza Vittorio (la piccola Torino, la chiamano a Roma i romani "de Roma")...E poi Via Leopardi e poi ancora Via Principe Amedeo, Via Marsala e finalmente la Stazione Termini (il punto di ritrovo e di smistamento di milioni di viaggiatori e nomadi e senza fissa dimora) da dove sono partito tante di quelle volte che ormai ho perso il conto e dove sono tornato così spesso e sempre con la stessa gioia di camminare, di lasciarmi coinvolgere, trasportare, trascinare dalla vita frenetica di una città caotica, bellissima e casinista come Roma capoccia...

domingo, julio 04, 2010

Nacho Vigalondo e la fantascienza

Lo devo ammettere, non sono un fan del genere “fantascientifico”, però Nacho Vigalondo (il giovane e talentuoso regista spagnolo del fenomenale Los cronocrímenes – di cui ho parlato anche in questo blog qualche tempo fa) mi sta facendo apprezzare il genere, mi ci sta facendo avvicinare in modo sempre più deciso…

Prendiamo l’ultimo cortometraggio, visibile sul sito dello stesso regista (link a lato, tra i miei preferiti): “Tres relatos de ciencia ficción” (a quanto vedo il film parte da solo, in mediaplayer, non appena ci si collega al blog dell’autore – e anche questo dettaglio è alquanto inquietante, ora che ci penso). Si tratta di un cortometraggio che, come suggerisce il titolo, è diviso in 3 parti, 3 mini-racconti fantascientifici. Una roba che dura appena 2 minuti e 54 secondi. Eppure, Vigalondo è capace di: a) raccontare 3 storie; b) intrecciarle perfettamente tra di loro; c) trasmettere paura, ansia, senso di vertigine e smarrimento o spaesamento; d) suscitare domande esistenziali su chi siamo e dove andiamo e da dove veniamo; e) trasmettere allo spettatore il veleno del dubbio; f) intrattenere con una suspense calibratissima, tutto in quei 2 minuti e 54 secondi che dura il cortometraggio…

Non mi sogno nemmeno lontanamente di riassumere la trama di “Tres relatos de ciencia ficción”. Faccio solo notare che Vigalondo costruisce l’intero film sui primi piano (o dettagli) di immagini che provengono dallo schermo di un computer (preferibilmente da internet). Spunto geniale: quando dice che il suo migliore amico, tra i contatti su Facebook, ha incluso anche una bella ragazza che lui ha conosciuto solo il giorno prima. Questa ragazza, tra i contatti, ha anche: il suo migliore amico, sua madre, sua zia e il figlio piccolo di un collega…Un figlio che ha solo dieci anni e che, scopriamo, è nato da un padre che sembra essere morto venti anni prima…I calcoli non tornano; c’è qualcosa che non va (o che continua a non andare). La domanda essenziale è: da quanto tempo siamo qui? (ovvero: “what’s on your mind?”)…

Letture pasquali Provo a leggere, in queste vacanze pasquali, tra una corsa in bicicletta in alta montagna e le mangiate assurde previste da...