domingo, marzo 30, 2008

Italy (e i dintorni così tristi)




In che razza di situazione mi sono infilato. Docente a contratto, ovvero docente esterno, ovvero schiavo agli ordini di un'Università che - è palese dalla miserrima paga promessa - se ne fotte altamente di me e dei miei sforzi. Un sistema "incancrenito", come lo definì ai suoi tempi una mia amica dottoranda; un circolo vizioso da cui diventa poi complicato uscire. Perchè? Perchè l'Università lo sa (il Rettore stesso deve esserne a conoscenza, non può non sapere), tu sei appassionato, tu sei fatto per questo mestiere, ce l'hai nel sangue, come si suol dire, e le capacità d'insegnare e l'attitudine alla ricerca sono il tuo forte, non puoi negarlo (non si può negare l'evidenza)... eppure: ogni sforzo appare vano, visto che la tua dignità viene calpestata a colpi di co.co.co., di contrattini schifosi che non ti permettono di arrivare a fine mese, nè di poterti progettare un futuro (una casa, una famiglia, una stabilità economica grazie alla quale poter mettere al mondo un figlio). E tu lo sai che non è giusto. Sai che questo sistema fa schifo e se accetti allora collabori anche tu, col sudore della tua fronte, a che il marcio continui a prosperare irredento e sfacciato (Mussi, se ci sei, batti un colpo - ma tanto ormai non si sa neppure se tornerà Mussi, se vincerà davvero il PD, o tornerà l'era-berlusquoni - ho appena letto una tenera lettera di Veltroni a La Repubblica: un lettera aperta che fa tenerezza per l'insieme di luoghi comuni e di retorica candida che sfrutta al fine di dimostrare questo assioma: l'Italia è un paese dotato di arte ed è stato la culla della cultura europea in passato; l'Italia deve tornare a fare arte e a diffondere cultura... sì... ma come si fa se a scuola i supplenti stanno raggiungendo quote esorbitanti e come si fa se all'Università il numero dei "contrattisti" precari è quasi pari - se non superiore, in alcuni determinati Atenei - a quello degli "strutturati"...).

Poi ti fermi e guardi i volti, le facce pulite di alcuni dei tuoi alunni. Sono ragazzi; hanno ancora speranza e nutrono ancora illusioni verso il futuro. Sono giovani che certe volte non vedono l'ora che tu la smetta di parlare e di declamare la solita lagna perchè fuori, all'ingresso della Facoltà, c'è il fidanzato o la fidanzata che aspetta (quanti schermi luminosi spuntano fuori dai cellulari verso la fine della lezione, quando mancano così pochi minuti per la fine). Sono persone attente e curiose, che hanno voglia di apprendere e conoscere, anche non sanno ancora bene cosa finiranno col fare "da grandi". E disconoscono completamente il "dietro le quinte", cosa c'è davvero, cosa si nasconde, dietro al mio sguardo a volte stanco, altre volte preoccupato, altre ancora sia stanco che preoccupato.

Dannazione.

Perchè? Da chi dipende? Perchè in Italia si continua ancora a morire sul posto di lavoro? Perchè un giovane operaio deve rimetterci (ci hanno rimesso, in realtà, più d'uno) la pelle? Perchè un giovane ricercatore che vuole lavorare e specializzarsi nel suo campo di studi è spesso costretto a lasciare genitori e amici e a trasferirsi all'estero? Perchè ci sono tanti anziani che percepiscono una pensione da fame e ridicola, quando Veltroni e Berlusconi ancora fanno battute e si lanciano frecciate sarcastiche sulle spalle di tanti italiani stanchi delle loro facce, stufi di tante cazzate, ansiosi di risolvere problemi quotidiani ben più complicati e urgenti?

domingo, marzo 23, 2008

L'eterno conflitto dei sessi





Così apre la sua "Introduzione" ai Promessi sposi (l'ultima versione, dopo tante andate a vuoto o riscritte e rimodificate) quel simpaticone di Alessandro Manzoni: "L'Historia si può veramente deffinire una guerra illustre contro il Tempo, perchè togliendogli di mano gl'anni suoi prigionieri, anzi già fatti cadaueri, li richiama in vita, li passa in rassegna, e li schiera di nuovo in battaglia".


Davvero efficace quest'immagine degli anni passati ormai cadaveri che la Storia (con la S maiuscola) s'impegna a resuscitare e a rimettere in riga, pronti per suscitare o rievocare nuove guerre... E parlando "in tenero colloquio" con una mia vecchia amica dell'Università, in pieno centro di Firenze, nel Borgo di San Frediano, ci siamo imbattutti nell'annosa questione della guerra tra i sessi... maschi e femmine bisognosi l'uno dell'altro (qui non tocchiamo il tasto omosessuale; non per discriminazione, per carità, ma perchè, appunto, quella è questione forse ancora più complessa e perchè qui, appunto, il ragionamento è nato dalla Sara a partire da riflessioni di stampo eterosessuale). Maschi che agiscono, dimenticandosi spesso del fatto che - pur scadendo nel "luogo comune" - le femmine sono diverse, hanno un'altra sensibilità, possiedono un'intuito differente, reagiscono ai casi della vita (e dell'amore) in modo a volte radicalmente opposto a quello generalmente messo in atto dagli uomini.


E una delle differenze più grandi che Sara notava era questa: "perchè tutti gli uomini che incontro hanno paura a buttarsi?". La domanda mi ha spiazzato.


"In che senso buttarsi, scusa?".


"Nel senso che, se gli capita di trovare una donna o una ragazza che li fa sentire vivi, che gli fa capire che la storia matrimoniale che si trascinano da anni con la moglie ufficiale è morta e sepolta, e che la nuova relazione, invece, potrebbe farli rinascere, loro preferiscono la sicurezza del focolare domestico alla passione e allo scombussolamento interiore del legame adultero. E vanno avanti così, anni e anni, senza mai decidersi, senza mollare l'altra - che riempiono d'insulti, magari, nei momenti di più accesa sincerità - e senza schierarsi completamente dalla parte dell'amante, di quella che li spinge a pronunciare la frase da loro quasi dimenticata "Ti amo". Perchè, perchè alcuni di voi - una grande maggioranza, per le storie che mi stanno capitando ultimamente - si comportano in questo modo?".


Provo a riflettere a partire dalla mia, di situazione sentimentale. Se un giorno mi stancassi di amare Alyssa, di dirle "Ti amo", di starle accanto perchè ho veramente voglia di starci; se un giorno trovassi una come Sara, che ti sconvolge la vita sentimentale, fino a spingerti all'adulterio o alla tresca, ebbene, io credo che mollerei la mia compagna, dicendo la verità. Non sopporterei di viverle ancora accanto, sapendo di stare mentendo quotidianamente. Se non provassi più nulla, e provassi il massimo con un'altra, la lascerei.


Sara si accende una sigaretta e mi guarda con occhio analitico. Non ci crede. Non mi crede più di tanto, anche se siamo amici e ci vogliamo bene e ci conosciamo da una vita.


"A parte il fatto che ti ci dovresti trovare, secondo me anche te faresti come questi tipi che ho avuto e ho ancora la sfortuna d'incontrare. Le donne sono meno razionali di voi; e l'impulso ci spinge a preferire il meglio, piuttosto che ad accontentarci del "passabile" o "regolare". E poi quanti calcoli! Perchè state sempre lì a calcolare?".


Il fumo le esce dal naso e per un minuto mi nasconde la sua bocca. Perchè calcoliamo tutto? E' vero, anch'io lo faccio, a volte. E Alyssa s'arrabbia (se stai a calcolare, una casa, un figlio, una famiglia, non te la farai mai; a volte penso abbia ragione; altre che non faccia nemmeno i calcoli basilari, che perda la visione obiettiva della realtà).


Sono meglio le donne o sono sempre peggio gli uomini in questioni d'interesse sentimentale?


Siamo entrambi fallaci e ci raccontiamo un sacco di bugie ogni giorno per andare avanti o i maschi sono più esperti delle femmine nell'arte del "fingere" e in quella del "fare i calcoli"?


Passa una coppia di adolescenti, con le converse ai piedi e i jeans strappati e le maglie tutte piene di stelline bianche su fondo nero. Si parlano, s'abbracciano, si baciano su una panchina con una passione animalesca, ignari dei passanti, beatamente indifferenti agli sguardi (e ai giudizi moralistici) degli altri. Li invidio. Anche Sara li osserva, senza dire nulla. E guardandoli uno pensa che l'eterno conflitto tra maschi e femmine è solo un'invenzione, o uno dei tanti luoghi comuni che sì, devono pure avercelo un fondo di verità, ma non sanno descriverci per intero il quadro della situazione...

jueves, marzo 13, 2008

Diario di bordo del viaggio verso il Sud del Mondo II



[sembra un racconto di finzione e invece è tutto vero, nomi di persone inclusi]





Dopo 7 ore di lezione, sfinito, stanco, sudato, con la cravatta snodata e la giacca sgualcita, una fame che non ci vedo proprio, ho appuntamento con una tipa, tale sig.ra Cirillo, del cui numero telefonico sono venuto a conoscenza tramite un sms di una mia carissima amica materana che ora vive e lavora a Roma e che prima (nel nostro comune passato di vicini di casa) faceva la studentessa di Psicologia nella stessa capitale. Sono le 19, 30 e l'appuntamento era previsto davanti al Tribunale per le 19. Mi reco al Tribunale e qui faccio la prima amara scoperta: cazzo, ho le chiavi dell'Aula Ferri, ho dimenicato di riconsegnarle al custode, al tipo che sta nella guardiola, al portiere dell'Università, insomma, quello davanti alla sbarra. Corro verso l'ingresso, ma la guardiola è vuota. Citofono; s'accende una lucina rossa; si sente un campanello trillare. Ma niente, del guardiano o portiere nessuna traccia. Cazzo. Se domani qualche collega vuole entrare in Aula Ferri, non potrà fare lezione perchè il sottoscritto ha sottratto indebitamente quanto non è di sua proprietà (e che doveva riconsegnare al guardiano, in base a quanto stabilito con la segretaria della Presidenza). Cazzo.



Alla fine m'infilo la chiave in tasca. E chiamo due o tre prof. di Lettere che potrebbero darmi una mano. Niente: telefonini spenti. Ritorno al Tribunale (non per deporre in merito alla sottrazione illecita) e vedo una vecchina con i capelli fucsia e un paio d'occhiali stratosferici (deve essere miope a gradi indefinibili). "E' lei professore?" (aridaglie co "professore"). E vabbè, faccio sì, sono io, lei, immagino, è la signora Cirillo. E lei: "Ah, che piacere professò, allora come sta? Allora, ci vogliamo anda a vede sta bella camera che abbiamo preparato pe lei?". Le spiego che Lucia, la mia amica materana, mi aveva detto che si trattava di un monolocale. Prezzo: 180 euro al mese. "Ma no, non le conviene, là ci sta solo una stanza" (penso: se è un mono-locale, è il minimo che consista solo d'una stanza, no?) "e poi, guardi, là ci stava uno, un ingegnere, professore pure lui all'Università, mi pare, ma sembra che ora che se ne è andato vuole metterci un amico suo architetto, quindi, professo, non le conviene, venga, venga con me che le faccio vede la camera che fa al caso suo". E nemmeno il tempo di fare due passi che, svoltato l'angolo, la sig.ra Cirillo mi presenta un tipo alto e robusto sulla cinquantina in compagnia di una ragazza in carne dai capelli neri e riccissimi, entrambi fermi e immobili in piedi davanti a una Fiat Punto verde smeraldo. "Questo è mio cognato. Si è preso la figlia di mia sorella. Si chiama Antonio; Antonio questo è il professore di cui dicevamo". Mi sono già perso nel marasma dei legami parentali quando Antonio mi stringe la mano affettuosamente e mi fa: "Allora lei è professore, eh? E che insegna, che insegna, se si può sapere, eh?". "Letteratura Spagnola, per ora", gli rispondo. E intanto mi presento alla ragazza (sulla ventina): "Piacere, Sara". "Piacere". "Allora, professo, mo lei va a casa sua insieme a Antonio, la stanno aspettando anche gli altri, in questa casa ci abitano altri tre studenti, uno di medicina, gli altri due fanno gli infermieri". Le ripeto che sarei più interessato al monolocale; allora interviene Antonio, che sembra osservare qualcuno o qualcosa dietro le mie spalle: "Ma no, professo, quello è stretto, è una stanza sola, dentro ci sta un divano letto soltanto, e poi è costretto a dormì, a mangià e a fassi il bagno tutto dentro allo stesso spazio" (aridaglie). "Allora, lei oggi vede tutto, poi se le piace e le sta bene anche il prezzo, mi sembra 170 o 180 euro, me lo dice, vabbè, me lo fa sapere per telefono che così la smette di buttà i soldi all'albergo e dorme da noi, vabbè; per noi non ci sono poblemi, per noi può dormì pure stasera là". E la sig.ra Cirillo sparisce come un fantasma dalla scena. Mi ritrovo seduto davanti alla Fiat Punto; Antonio mi racconta della sua vita, mi dice che è cieco (ecco perchè prima mi sembrava che il suo sguardo puntasse dietro di me, o fosse comunque scentrato) e mi confessa orgoglioso che è uno dei responsabili a livello regionalei di una Associazione che si occupa di aiuti ai ciechi e ai disabili in generale. Mi sta subito simpatico perchè mi sembra più razionale e pacato della sig.ra Cirillo (che è sua cognata, mi sembra d'aver capito, o sua sorella, o boh). "E' dura la carriera da professore, vero? Ma da dove viene?". Gli spiego che per ora mi muovo col pullman da Firenze. Esclama qualcosa che potrebbe essere un "cazzarola"; Sara guida con una certa solennità; poi fa una curva stretta e mi fa ondeggiare verso destra. La faccia quasi sul finestrino. "Anche Sara studia". Le chiedo cosa: il primo anno di Scienze Alimentari. Mi complimento, tanto per dire qualcosa. Ma anche lei mi sta simpatica.



Arriviamo alla fantomatica casa; dentro ci sono tre donne, una sulla quarantina (piacente e vestita come una velina); una sulla cinquantina (cicciona e dal viso arcigno; indossa una pelliccia di non so che animale); una sulla sessantina (assomiglia in modo impressionante alla Cirillo). Mi riempiono di chiacchiere. Una mi spinge in cucina e mi offre un bicchiere di vino; un'altra mi mostra la stanza (spaziosa ma tristemente spoglia) e un'altra ancora mi spiega che "professo, non si preoccupi, se deve arriva all'Università qua dietro ci sta il tram e pure l'autobus; ma beva, beva un bicchierino di vino, sù". Poi mi presentano fugacemente gli altri coinquilini (piacere, piacere); e intanto Antonio girovagando per l'ingresso chiede a Sara che fine abbia fatto perchè non mi sente più parlare; Sara glielo dice: "Sta qua dietro, zio" (ma come, è sua nipote?). "Ora decide lei professo, intanto l'ha vista, poi faccia lei". La donna vestita da velina sculettando se ne va. L'altra mi scrive su un pezzo di carta il suo numero di telefono (qua ci sta il bagno, me ne ero scordata). L'altra ancora, quella arcigna, mi dice "arrivederci" sbattendo forte la porta.



"Ora la riaccompagnamo all'hotel, va bene?". Sara si rimette al volante e guida con calma, facendo attenzione ai pedoni. Antonio mi dice che se voglio posso andarlo a trovare presso il suo centro per disabili (mi spiega che ci sono 6 postazioni internet gratis per tutti). Poi mi scaricano davanti al tribunale. L'hotel è vicino. Spiego loro che preferisco fare due passi da solo a piedi. E così, mi ritrovo a correggere una tesi mezzo sbronzo sul tavolo della hall (non ho ancora mangiato niente dalle 15 e ho bevuto già 2 bicchieri di Aglianico). Osservo inebetito un numero di telefono scritto su un pezzo di carta e non ricordo più a quale nipote, zia, figlia, suocera o nuora della mitica sig.ra Cirillo appartiene. E chissà dov'è a quest'ora, la Cirillo. Forse crede davvero che sia rimasto a dormire da loro. E non sa che sono ancora in albergo. Non sospetta che stanotte riparto per Firenze, senza aver ancora deciso cosa fare di quella stanza in quella casa popolata da donne d'altri tempi...

sábado, marzo 08, 2008




Le persone "serenelle"


L'altro giorno ho risentito Serenella, una mia cara ex-compagna di lavoro all'aeroporto, ed è stato subito un felice trillare di risate, come stai, come te la passi, ma stai bene anche tu, che voce squillante, che allegria nel tono, che tipa che sei! Serenella è una di quelle persone ottimiste che riescono a farti vedere la vita con occhi meno cupi; ha un'allegria innata e diffonde sorrisi a mansalva, anche a chi non se li merita affatto. Lavora come una matta (nel senso che è davvero una stacanovista) e per le capacità che ha potrebbe benissimo dirigere una scuola o fare la rappresentante di Confindustria o fondare un nuovo partito (questo no, non glielo auguro proprio, visti i tempi in Italia, ma comunque... Serenella con le sue doti umane potrebbe fare anche quello). Per quelli dell'ufficio centrale e contabile è solo un numero; è solo la top-score di ogni mese (o quasi ogni mese), ossia, quella del gruppo che fa guadagnare più soldi a quelli che stanno in alto (i fondatori della marca - americana; non la cito apposta per non farle inutile pubblicità; tanto quella ce l'ha già, basta girare in aeroporto o sulle autostrade di mezzo mondo per vederla). Eppure lei continua a fare il suo dovere al massimo, coi suoi 34 anni portati benissimo, con la voglia che ha di fare un figlio, anche se ancora non lo è, madre, manca sempre quel bimbo che prima o poi arriverà (Serenella è una persona paziente e sa aspettare; cosa che oggi quasi nessuno riesce più a fare; sarà anche per questo motivo che - mi si perdoni lo scontato gioco di parole - è così serena).

Un'altra persona "serenella" è Nicola, che oggi è venuto a trovarmi a Firenze da Pisa. Nicola è un ingegnere informatico che ne sa una più di Bill Gates (ma è modesto, non si vanta e non lo vuol dare a vedere; io, invece, che sono suo amico e ora voglio un po' sputtanarlo, so per certo che una volta è riuscito a intrufolarsi nel sistema operativo di una famosa azienda che produce robots in Giappone - chiusa la parentesi; Nicola non sa di questo mio blog; Alyssa glielo accennò anni fa, ma deve averlo dimenticato, da allora non me ne ha mai chiesto spiegazioni; sa che mi piace scrivere, ma addirittura su un blog, dai!). Nicola è come Serenella: il solo contatto con un tipo come lui ti restituisce la voglia di andare avanti e di sorridere. Nicola è quel tipico individuo posato che, se vede che il terromoto sta buttando giù l'intera casa, lui non smuove un dito; si scansa dai macigni per non morire e poi dice: "Qual è il problema? La casa la ricostruiamo, siamo ancora vivi, no? Dunque, via, mettiamoci sotto, a lavoro, ragazzi!".

E quante volte avremmo bisogno di persone come loro, come Serenella (voce squillante) o come Nicola (hacker buono), quando la visione leopardiana della vita prende il sopravvento e il pessimismo cosmico ci spinge a pensare al suicidio (o a una fine eclatante, vada in malora tutti, affanculo tutto, e che sia quel che sia). Loro no. Serenella no; Nicola neppure: loro sono quelli che nei momenti duri si rimboccano le maniche e sudano per riprendere posizione sulla scacchiera quando l'avversario c'ha la partita in mano ed è pronto a fare scacco matto. Loro sono quelli che lavorano bene e si sentono dei professionisti e quindi non lo fanno vedere agli altri, operano nell'ombra, quando qualcuno li elogia ringraziano umilmente e continuano a dare il massimo.

Scrivo queste piccole riflessioni minime su due persone amiche mentre ascolto Jovanotti (dall'ultimo album, Safari) e la canzone (che s'intitola "Mezzogiorno") mi rimette allegria e questi versi mi fanno riflettere e, al contempo, mi fanno sorridere, e mi fanno stare bene con me stesso:

"La foto della scuola non mi assomiglia più

ma i miei difetti sono tutti intatti

[...] e giorno dopo giorno passeranno le stagioni

ma resterà qualcosa in questa strada

non mi è concesso più di relegarti i miei casini

mi butto dentro vada come vada

siamo come a mezziogiorno baby

senza più nessuna ombra intorno

siamo come a mezzogiorno baby

senza più nessuna ombra più nessuna

ombra intorno baby"

 Un incubo (letterario) La fortuna (o il caso o  il destino o chiunque si trovi a gestire le nostre vite terrene) ha voluto che, un paio di ...