martes, noviembre 27, 2007


Traslochi - Mudanzas - Movings
Molto probabilmente questa è l’ultima notte che dormirò in questa casa (almeno come coinquilino – in futuro, chissà, potrei tornarci e rientrarci e pernottare, ma solo come ospite, di passaggio). L’idea di un futuro; l’idea della stessa stanza in un futuro abitata e “vissuta” da un’altra persona mi affascina e mi spaventa allo stesso tempo. Qui ci ho trascorso quasi 4 anni della mia vita da giovane (non più, non tanto, ormai). Qui ho scritto e sudato per scrivere le mie carte travagliate. Qui ho amato e sono stato amato. E tra poco, non ci sarò più, mi ritroverò a respirare e a camminare in un’altra stanza, di un’altra casa, in un’altra città… accanto alla persona che amo. E’ faticoso traslocare. Smuovere le acque, prendere coscienza delle mille cose che riusciamo ad infilare in una decina di metri quadri. Togliere la polvere accumulata sui libri; ritrovare libri che non sospettavi d’avere; rimestare tra le cianfrusaglie di tempi passati (nemmeno troppo lontani; in questa foto, ad esempio, c’è Roby e Raffaele, insieme a Ilaria e Valeria, siamo in piedi, dentro un ristorante, in attesa che arrivino le pizze, sembriamo felici, all’epoca Ilaria sapeva già di essere incinta e per questo aveva già chiesto – ed ottenuto – la maternità; Valeria, invece, sembra più vecchia del normale, forse è stanca, le borse sotto gli occhi le conferiscono un’aria triste, chissà se aveva davvero voglia di partecipare a quella cena; Raffaele, il peggior nemico di Roby, tocca la spalla di Roby, gli si appoggia, da Giuda traditore, ma all’epoca nemmeno Roby sospettava che Raffaele l’avrebbe tradito, appoggiando la sua espulsione dall’hotel…). E ora che la stanza è vuota (o quasi) l’effetto dell’eco rimbalza sui muri spogli (niente più poster, né manifesti giganti; pochi ostacoli contro cui l’onda sonora finisce con lo sbattere e rimabalzare); e proprio l’effetto eco induce a movimenti più lenti (che gli altri non sentano; ma a quest’ora – le 1,54 della notte – dormono tutti, di là, i miei amici coinquilini che continueranno a vivere in questa casa e che forse, un giorno, si dimenticheranno perfino di com’era la mia faccia, quella stessa faccia che per quasi 4 anni ha visto l’alba sorgere e la luna calare da questa finestra al secondo piano…). Domani invece sarò di là e dovrò riabituarmi a una nuova situazione; è difficile prendere confidenza con i nuovi spazi; calibrare bene la distanza dal comodino o la scrivania; riconoscere anche al buio l’esatta posizione dell’interruttore per accendere (o spegnere) la luce di notte dal letto. E abituarsi anche al respiro lento (o sommesso o concitato, questo dipende) dell’altra persona che abbiamo accanto e che da oggi in poi vedremo in ogni momento (quando si alza, spettinata, al mattino; e quando esce di casa, vestita per il lavoro, truccata e pettinata, elegante nella sua semplicità, maliziosetta nella sua innocenza candida). E poi ci sono i gatti, io non ci convivo bene coi gatti, ma dovrò abituarmi anche a quelli (passo felpato, occhi scrutatori, certe volte Biscotto e Pallina mi fanno paura). E’ difficile accettare che da domani sarà un’altra la stanza che mi vedrà passare e ripassare, scrivere ed esultare, piangere o rabbuiarmi (magari con la persona che ho accanto e che proprio per la vicinanza mi spingerà all’isolamento o alla rabbia trattenuta, ai litigi nascosti, che sono i peggiori, quelli che si svolgono sotto banco e vengono azzittiti dalla coscienza sporca). Niente più casa “trasformabile” del palazzo di fronte; niente più coinquilini studenti quasi coetanei; niente più libri messi in bella mostra ad accompagnarmi nel lento trascorrere della giornata. Nuovi spazi e nuovi tempi per una vita nuova che non conosco ancora.

lunes, noviembre 26, 2007

Desde Barajas

(Madrid – 22 de Noviembre de 2007, horas: 14,32)

Quando vado a Madrid trovo appoggio costante e generoso da Ambra e Veronica. Sempre. Indefettibilmente. Non si risparmiano mai.
Ambra è nata a Firenze, ma ha i parenti a Soresina (un paese a 80 km da Milano), anche se ormai vive in Spagna da 15 anni. Quindi, si può dire che ormai è più spagnola che italiana (Ambra di anni ne ha 24, compiuti da poco).
Veronica, invece, è argentina. Viene da Buenos Aires, ma ha vissuto per due anni a Rio de Janeiro. Dopo l’esperienza brasiliana (compiuta tra i 18 e i 20 anni) si è trasferita nella capitale del Regno. Ha 28 anni, anche se non li dimostra, e i capelli neri e gli occhi scuri e la carnagione mulatta (ottime curve, su un corpo piccolino, ma si sa, la donna bassa riserva sorprese…). Ambra è alta e magrolina, ma ha una forza di volontà e un’energia spaventose, se rapportate al suo fisico. Fa la giornalista, lavora in un’agenzia stampa collegata all’Opus Dei (peccato) e si mantiene da sola da quando ha raggiunto la maggiore età. Veronica ha lavorato nel campo della ristorazione e del settore alberghiero: ha fatto la cameriera, la capo-sala, la recepcionist, e poi ancora: la commessa, la bar-man (esiste “bar-woman”?), la pierre in una discoteca del centro (discoteca in cui mi faceva sempre passare senza pagare, con drink costoso incluso nel prezzo).
Con Ambra ho imparato che niente è impossibile se lo si desidera veramente; grazie a Veronica ho imparato a nuotare (ma solo in piscina, ancora non mi sono mai azzardato in mare aperto). Ambra è di quelle persone che sanno ascoltare gli altri e soprattutto di quelle che non si scandalizzano davanti a nulla. Ambra ti ascolta e presta attenzione, dà consigli sensati e non si spaventa o non si sorprende davanti a nessun racconto (per surreale o pazzo possa essere quest’ultimo). Veronica è una “macchina”, una bomba a orologeria: non nel senso che potrebbe scoppiare da un momento all’altro, no. Nel senso che quando decide di darsi la carica riesce ad andare avanti per ore, senza dormire, lavorando, andando in giro e di festa in festa, di bar in bar, conosce tutti e tutti la lasciano passare col sorriso sulle labbra (le mie migliori sbronze, quelle più divertenti e quelle che si sono prolungate fino all’alba o alle 8 del mattino le devo a Veronica). Non so proprio come faccia, a tenere certi ritmi (non credo faccia uso di droghe pesanti, le canne sì, quelle le abbiamo fumate insieme in più di un’occasione). E non so da chi ha preso Ambra (due genitori splendidi, una madre attenta e simpatica, un padre vispo e dalla mentalità davvero aperta – una volta mi fumai una canna con Francesco, dopo cena, a casa sua, davanti a Federica, la moglie e madre di Ambra; quante risate quella sera, criticando certa politica italiana e rimembrando i primi tempi del trasferimento in Spagna; quante risate e quante acute osservazioni sulla nostra attuale, permamente, situazione di stallo e mancanza d’entusiasmo).
Veronica ha cominciato da poco a lavorare al Corte Inglés (per una marca famosa di moda argentina); Ambra scrive articoli per la sezione “Turismo”. E grazie a questo incarico, ogni tanto viaggia per il mondo. L’altra settimana era a Budapest; tra due settimane sarà in Cina (Singapore e Shangai) per una doppia conferenza stampa (ridendo m’ha chiesto se avrà il tempo di vedere almeno le hall dei due hotel in cui pernotterà).
Veronica e Ambra, due porti sicuri nel mare incerto della caotica Madrid. Ambra e Veronica, due donne intraprendenti e con la testa sulle spalle che ammiro e ammirerò sempre, anche se in futuro dovessero tradire la nostra amicizia o cambiare la loro opinione su di me. Due persone che danno la carica e di cui tanto si ha bisogno quando ci si sente soli e abbattuti, o più semplicemente nostalgici (ancora non metto piede a Pisa – scrivo dall’aeroporto di Barajas – e già sento la nostalgia della mia seconda casa).

martes, noviembre 20, 2007

In the dark and deep part of the night

"E' stato bello, anche se è durato poco". Quante volte pronunciamo questa frase (o ce la diciamo in silenzio tra di noi, a mente aperta e bocca chiusa)? In quante possibili e variabili circostanze?
Mi viene in mente l'atmosfera di distensione paradisiaca che si respira dopo l'amore: "E' stato bello, anche se è durato poco", in questo caso sì che potrebbe suonare ad offesa (l'orgoglio maschile sempre in agguato, ahinoi, maschi irascibili, anche quando non siamo frettolosi, anche quando riusciamo a regalare orgasmi degni di questo nome), se la frase è detta dall'amante o dalla compagna che abbiamo affianco (ma in linea di massima e in generale "l'orgasmo è bello perchè dura poco" - litigarello avrebbe fatto rima, ma quello è l'amore, è un'altra storia...). Oppure, mi viene in mente l'aria di abitudini riconquistate, dopo un viaggio. E allora si accende il computer e si guardano le fotografie scattate a Plaza Colón, o alla Gran Vía di notte (con le sue mille luci accese e scintillanti), o al Paseo del Prado, con la statua di Velázquez a fare la guardia alle stanze (mille e una) del mitico e omonimo museo nazionale... e si dice: "E' stato bello, ma è durato poco, magari potessi tornarci, avere più tempo per visitare anche gli altri posti che non abbiamo visto e che la guida ci raccomandava con tanta eloquenza"). Oppure, quando si rompe un rapporto e allora la frase assume connotati cinici, quasi fratricidi, mi verrebbe da dire: "E' stato bello - anche se è durato poco, o troppo, o tanto - e adesso ognuno per la sua strada, non voglio più che mi chiami, non telefonare più, basta vedersi la sera per andare a mangiare la pizza, ormai è fatta, ormai è finita" e ti prepari ad andare al cinema con un amico, sbiadito solo dopo mesi il ricordo di quando ci andavi con lei e le stringevi la mano o le carezzavi la gamba o le stampavi un bacio dietro l'orecchio e sul collo (due punti cruciali per eccitarla, da farle venire la pelle d'oca). "E' stato bello, peccato debba finire", penso, quando finisco di leggere un romanzo che mi coinvolge e avvince e la trama s'avvia alla conclusione (lo diceva giustamente anche Frank Kermode: "il bello dei romanzi è che devono giungere a un finale", anche quando questo venga ritardato - sorta di "orgasmo ritardato", in questo caso, o coitus interruptus ad infinitum). "E' stato bello", dico ad Antonio Escudero, vecchio saggio e amico della Biblioteca Nacional, incontrato per caso davanti alla macchinetta automatica che distribuisce caffè e cappuccini che ricordano solo vagamente ciò che in Italia definiremmo come un caffè e un cappuccino... Mi spiega che ultimamente la gente ha perso l'entusiasmo. Che in giro si respira un'aria cattiva, di disfattismo e di superficialità infinita. Dice che si sente meglio quando sta da solo; Antonio Escudero dice di coltivare la solitudine a Las Navas, e che gode della pace e della tranquillità delle piante del suo mitico giardino. "E' stato bello", anche se deve per forza di cose finire. Come il libro di Sebald che ho ripreso in spagnolo (e che ho già letto in inglese e che forse comprerò anche in italiano), Los anillos de Saturno, pieno di foto e di immagini che sembrano provenire da un altro pianeta. Saturno, di fatto, era il pianeta della Melancolia, presagio di cattiva sorte, o di malattie e morte. Un libro strano, che sembra ruotare attorno alle vestigia dei tempi passati, che s'impegna a ricordarci che cenere siamo e cenere ritorneremo. Un libro che si apre con una citazione che fa al caso nostro ("E' stato bello, anche se è finito presto"):

'Good and evil we know in the field of this world grow up together almost inseparably'

E così ora, mentre scrivo dalla Biblioteca e attorno a me ci sono persone che scrivono le loro tesi e leggono gli autori più disparati e realizzano le loro ricerche con passione e foga, mi viene da pensare che anche queste due frasi sono inseparabili: "E' stato bello, anche se è durato poco".

martes, noviembre 13, 2007

Viaggi (senza casa)

Ascolto At last, della bravissima Etta James, e danzo sul bordo… Tra poco meno di 24 ore sarò a Madrid. La seconda patria (o seconda casa). Non so se avrò la stessa impressione avuta nel 1999, quando ci andai per la prima volta. Anzi, probabilmente l’effetto sarà diverso. Così come m’è parsa un’altra città quando la visitai nel 2001. E quando ci passai tre mesi nel 2003; e quando ci tornai per un convegno nel 2005. E quando ci passai l’estate del 2006. Si può vivere a metà, tra due nazioni? Si può stare con un piede in Italia e l’altro in Spagna? Quando ci si pongono di simili domande ci si rende subito conto del fatto che se si nasce in un posto è solo frutto di casualità. Non stava scritto da nessuna parte che io nascessi in un paesino arroccato tra i monti abruzzesi. E non era previsto da nessuno che nascessi dai genitori che poi ho avuto (la fortuna di avere). Il caso fa il bello e cattivo tempo, a prescindere dalla nostra volontà. E c’è chi si ritrova a vivere un rapporto a distanza non volendolo. E chi, invece, magari, vive un rapporto con la vicina di casa e ha già una casa e gli sta bene così (o ne trova una nella stessa città e decide di comprarla: facciamo un mutuo, tra quarant’anni la casa sarà nostra, potremmo lasciarla in eredità ai nostri figli, che ne pensi?). C’è chi è nomade di spirito; e chi non vede l’ora di fermarsi in un posto e passarci tutta intera la vita. Io personalmente mi annoio dopo una settimana a stare nella stessa città. E per questo do da mangiare alle FS da ormai più di dieci anni. E mi muovo tra Firenze, Pisa, Roma, e il paesino abruzzese di cui sopra. La casa è lì dove sono i tuoi affetti. Devo avere gli affetti un po’ sparsi in mezza Italia, ultimamente. Toscana, Lazio e Abruzzo. Senza contare gli amici vicini e lontani (Silvia di Vercelli – dunque Piemonte; Rosa e Seby di Salerno – dunque Campania; Emanuela di Fiuggi – dunque ancora Lazio; Gabriele di Macerata – dunque Marche; e Gabriele l’altro di Padova – dunque Veneto; Aurelia di Oristano – dunque Sardegna). E poi Daniela e Giovanna, di Livorno, e Roby, e Mery, e Renzo, ecc. ecc.
C’è chi trema all’idea di fare un colloquio di lavoro a qualche kilometro di distanza da casa sua; io partirei al volo, anche senza valigie, anche se il colloquio fosse a New York (città che mi riprometto di visitare, prima di morire). E poi c’è Cuba e La Habana con le macchine d’epoca ancora funzionanti; e il Messico con la capitale (tra le città più pericolose del globo, a detta delle statistiche); e il Perù; e il Canada o l’Australia, che tanto piacciono ad Alyssa. Che è più sedentaria e domestica di me (quante discussioni al riguardo!). Ma esiste davvero poi una casa in cui poter stare tutta la vita? E poter dire, “finalmente”, “at last”, sono arrivato…

domingo, noviembre 11, 2007


Al cinema ci vuole suspense (e sopresa)




Alla fine ci sono andato: al cinema, a vedere La terza madre. Alla fine del film m’è venuta in mente questa riflessione: c’erano tutti i mezzi per dare vita a un film davvero bello e davvero pauroso e invece… La sceneggiatura non è così “imprevedibile”, anzi; l’attrice protragonista, cioè Asia, la figlia di Dario, è piuttosto inespressiva (recita con tono di voce monotono ed espressione falsamente ed ingenuamente “sconvolta”); gli effetti speciali, sì, d’accordo, ci sono e fanno paura, ma spesso e volentieri sono volti a sé stessi, fanno scattare dalla poltroncina, ma poi si ripetono e ti lasciano quasi indifferente. Certe scene, più che a Dario Argento, fanno pensare al collega e amico Lamberto Bava. Che faceva horror di serie B e ne era orgoglioso; ma da Dario, certi trucchi, dopo Suspiria e dopo Profondo Rosso proprio non ce li saremmo aspettati (come la scena finale in cui Asia si trascina in mezzo a liquame non ben identificato tra teste e tronchi mozzi, braccia e vomito e schifezze varie, per poi risalire in superficie e rivedere l’alba di un nuovo giorno).
Ora, il punto è questo: secondo me esistono due grandi sotto-categorie dei film cosiddetti “horror” o del terrore; a) quelli che fanno paura a partire da una situazione realistica e verosimile; b) quelli che creano il terrore a partire da situazioni date di per sé come irreali, fantastiche o sovrannaturali. Per i film del primo gruppo, possiamo citare Psycho di Hitchcock; per quelli del secondo, possiamo pensare agli stessi film di Dario Argento (penso a Phenomena o anche al succitato Suspiria). Poi ci sarebbero film a metà: o che, partendo da una situazione realistica, sfociano nel “fantasy” e nel soprannaturale più puro (vedi Rosemary’s baby o L’inquilino del terzo piano di Roman Polanski; o anche La notte dei morti viventi di George Romero); oppure quelli che, al contrario, partendo da una situazione apparentemente soprannaturale e fantastica arrivano a una soluzione finale razionale e realistica (vedi… non mi viene in mente un esempio, forse perché è più difficile pensare a un film con tali caratteristiche; in genere, quando si parte dal reale per sconfinare nel fantastico il viaggio è di sola andata e non si torna indietro; certo molti “trhiller” - e non “horror” – approdano a una spiegazione razionl-materialistico-matematica, ma spesso resta l’ombra del soprannaturale; in tal senso è esemplare proprio Psycho: i dottori possono pure rassicurarci, la giustizia – rappresentata dalla polizia del paesino in cui vive Norman Bates – può pure aver catturato il pericoloso e psicopatico serial-killer, ma Bates continua a spaventarci con quel suo ghigno malefico e da pazzo furioso – vedi dissolvenza incrociata tra il volto di Bates e il teschio di un cadavere). Ecco, le mie principali difficoltà a seguire La terza madre derivano dallo statuto fin troppo “fantasy” della storia. Ripeto: non che in Suspiria o in Tenebre (la seconda parte della trilogia) ciò non succedesse, o non ci fossero apparizioni di streghe, o scontri tra streghe malefiche e streghe benevole (magia nera e bianca, come suolsi dire); o che non ci fossero esplicite scene di splatter puro, con conseguente rovesciamento intestinale di budella, cervella e litri e litri di sangue e materiale organico; no, queste sono cose che si vedono anche nei primi due capitoli della trilogia su “mater suspiriorum” e “mater tenebrorum” e “mater lacrimorum”. E’ che nell’ultima parte il “fantasy” prende il sopravvento, il soprannaturale viene chiaramente mostrato e la suspense va a farsi friggere a scapito di una inverosimile lotta tra le forze del male e quelle del bene. Come si fa a credere a Asia Argento quando, inseguita da una banda di streghe vestite come mignotte o punkabbestia strafatte, riesce a nascondersi perfino allo sguardo del polizziotto scomparendo con la sola forza del pensiero? Come si fa a provare paura davanti a una strega cattiva dai tratti orientali che sembra uscita da un manga giapponese e che si lascia fracassare il cranio sul treno Roma-Orte? Come ci si può fare sconvolgere dall’Apocalisse che sembra impossessarsi della capitale, con scene di violenza, stupri, mamme che gettano i bambini nel Tevere se dietro a tutto questo c’è già una spiegazione logica, anche se legata al soprannaturale – ovvero l’arrivo a Roma capoccia di una banda di streghe guidate dalla “terza madre” del titolo? Questo è l’errore di fondo che evidentemente impedisce al regista di sfruttare al meglio la sua vena visionaria. E di non ripetersi troppo, come invece ha fatto in questo film.
Scrivo queste impressioni da spettatore, ma so già che, la prossima volta che Dario Argento farà un film, io sarò lì, presente, in fila, a comprare il biglietto, per godermi lo spettacolo. Perché ci si affeziona a certi film, e a certi registi, proprio come si ha caro il prorpio autore preferito o l’attore dei propri sogni adolescenziali. Però che bello sarebbe poter vedere film in cui non cala mai la suspense; in cui il regista ci regala nuove paure; in cui si gioca a carte scoperte (o anche coperte) un gioco comunque nuovo, o mai ripetitivo.
Leggo le recensioni all’ultimo film di Coppola e temo che l’esperienza vissuta per Dario Argento possa ripetersi per il regista di uno dei miei film preferiti, Apocalyspe Now (Apocalisse Ora, ovvero “dentro il cuore di tenebra” di Conrad e dell’America). E così ho anche paura a noleggiare Inland Empire di David Lynch. E se fosse una fotocopia di Eraserhead? E se fosse una fotocopia fatta male, per giunta? Ho amato Mulholland Drive; ma ho adorato ancora di più The Straight Story ovvero Una storia vera, perché non sembrava Lynch… Che gli artisti s’ingegnino a soprenderci sennò finiremo per tradirli! O voltare loro le spalle (e mi vedo già in fila, in attesa, prima di entrare in sala, per vedermi l’ultimo di Nanni Moretti, o l’ultimo di Woody Allen, o l’ultimo di Martin Scorsese…).

domingo, noviembre 04, 2007

Fotografie



Fotografie dell'infinito

viaggiare

tra le macerie

d'istinti ridotti a

brandelli

di scene di film

senza sonoro nè fine

tra mucchi di carte

e ritratti d'autore

lungo questa fine

di millennio

appena iniziato...



L'aria del mattino



E alzarsi la mattina presto

respirando l'aria dell'alba

tra i parcheggi

in compagnia di uccelli liberi

di disegnare in volo la linea

del mio destino,

del tuo cammino,

d'aerei che decollano e

portantini d'altri tempi,

di voci d'altoparlanti

e poliziotti in borghese

che vegliano per la

sicurezza

della nostre corte vite

messe in fila

lungo file d'alberi

e strade acciotolate

e curve inaspettate.

sábado, noviembre 03, 2007

Il 2 di Novembre



Tutti i santi (All Souls) o tutti i morti (The dead), ancora non so distinguerli per bene.

Mi reco da un vecchio amico che fa il portiere di notte (lavoro invidiabile: vede passare un sacco di belle donne davanti al suo bancone e si fatica poco, giusto qualche bicchiere d'acqua, un asciugamano in più o "scusi, dove si spegne/si accende il condizionatore?"; tutta la notte davanti per dormire - sonnecchiare, via - vedere film (i "Bellissimi" di Rete4? Ultimamente ce l'ho con Rete4, non so perchè...), leggere romanzi, scrivere poesie, parlare al telefono con la moglie che è a casa e aspetta il suo ritorno la mattina all'alba... e poco più).

Parliamo di film; gli dico che mi piacerebbe poter tornare ragazzo, rivivere il giorno in cui vidi per la prima volta Back to the future, ovvero Ritorno al futuro, di Robert Zemekis (un film del 1985, avevo appena 8 anni); oppure poter vedere l'intera trilogia in un'unica lunga sessione, come hanno fatto quelli della "Festa del Cinema" a Roma, in omaggio a Dario Argento e alla sua trilogia (Suspiria, del 1977, annus mirabilis - non a caso nacqui io, in quel frangente storico...; Inferno, del 1981, con una delle inquadrature più spericolate della storia del cinema - da una finestra a una scalinata a un tetto e ritorno, più o meno, se non ricordo male, in un unico piano sequenza, una scena molto hitchcocckiana; La terza madre, di questo 2007 che volge al termine - già mi vedo a Natale, accelero i tempi- e che ancora non ho avuto il piacere di andare a vedere al cinema). Chissà come sarà stato contento Dario, a vedere tutta quella gente urlare di paura per le scene più atroci e splatter, a sentire gli applausi o le risate o i cori da stadio.

Renzo, così si chiama il mio amico, non ama l'horror; è fin troppo serio, per poter apprezzare questo genere di cose. A volte mi piacerebbe spiegargli che la serietà danneggia gravemente la salute. Poi mi fermo, perchè mi offre una sigaretta e perchè ognuno si programma (o fa finta di programmarsi) la vita come vuole (o come più gli aggrada). A proposito di film, gli dico che oggi ho finito di vedere un film stranissimo e surreale, o meglio, onirico, di Marco Ferreri: Storia di Piera. Renzo mi guarda sbigottito: non ne sa nulla. Entra una cliente, una bionda molto carina, con gli stivali bianchi e la giacca di cuoio nera. Sembra uscita da una discoteca. Emana un profumo pungente. Mi viene in mente una vecchia canzone di Lucio Battisti (l'idolo musicale di mia madre), quella che fa: "Che sbaglio avere una donna per amico", o qualcosa del genere. Sì, quella: Una donna per amico. Renzo mi guarda sbigottito. Non l'ha mai sentita.

E allora passiamo a parlare degli orari notturni di certi adùlteri, che affittano la camera e noleggiano una compagna per una notte (anche questa, una donna per amico, anche se a pagamento e a ore). E allora mi viene in mente un'altra canzone, una di Daniele Silvestri, una di quelle canzoni che ascoltavo sei volte al giorno mentre andavo a lezione all'Università (e attraversavo viale Ippocrate e poi viale dell'Università e poi Piazzale Aldo Moro): "Dov'è che ci siamo già visti? Non ti inquadro. Eri anche tu coi sandinisti o facevi teatro? Comunque procediamo, lo so ti sembro strano, ma sono gli anni il vino la miopia. Che poi non è che beva molto e qualche volto ancora lo ricordo e non ingrasso non sono sordo e ho ancora molta molta fantasia... Bisogna essere ottimisti, fino in fondo, perchè potrebbe essere domani la fine del mondo".

Renzo mi richiama sulla terra: "Ma dico, l'hai vista quella?". Gli spiego che mi ero distratto. Mi fa vedere la carta d'identità del tipo che l'accompagna in camera, un tipo grasso, uno qualunque, un po' calvo, un po' unto. Si è fatto tardi. E non ricordo se questo che si è appena concluso è il giorno di tutti i santi o quello di tutti i morti. E comunque è vero: potrebbe essere domani la fine del mondo...

Letture pasquali Provo a leggere, in queste vacanze pasquali, tra una corsa in bicicletta in alta montagna e le mangiate assurde previste da...