viernes, septiembre 28, 2007

Teodoro W. Adorno



Finalmente, dopo tanti anni, ho conosciuto anch'io Teodoro W. Adorno. E' il gatto di Julio Cortázar, l'autore di racconti straordinariamente fantastici (nel senso letterale del termine: ma, ora che ci penso, "fantastico" ha davvero un suo senso letterale? Da dove deriva e cosa significa letteralmente il termine phantasticus?).

Questo Adorno fece impazzire più d'una traduttrice dei racconti dell'autore de Las babas del diablo: nell'Aprile del 2005, un altro scrittore ispanoamericano, Luis Sepúlveda, quello de La gabbianella e il gatto (da cui Enzo D'Alò trasse un film molto educativo e ben fatto, anche se, a parer mio, meno bello de La freccia azzurra - vero capolavoro del cinema d'animazione) raccontò un aneddoto legato a questo problema. La traduttrice di Cortázar si era imbattuta in un Adorno che non c'entrava niente in quel contesto; all'inizio credette che doveva trattarsi di una citazione nascosta dal filosofo tedesco; poi d'un ghigno d'autore; ma alla fine dei conti era davvero surreale che Adorno, in quel brano del racconto in questione, scondinzolasse tra le gambe del protagonista. Solo dopo due telefonate a Parigi, riuscì a capire che Cortázar si stava riferendo al suo gatto. Nero, simpatico, scattante, come tutti i gatti che si rispettino (in una foto si vede Cortázar seduto davanti a una finestra; dall'altra parte Adorno che prova a graffiarlo affettuosamente, ritto sulle due zampe; non si capisce chi, tra i due - essere umano e essere animale - si diverta di più).

Ed ecco così finalmente Adorno in primo piano (anche se di spalle): l'ho trovato a p. 14 del libro-collage (specie di zibaldone o contenitore di "racconti in potentia") La vuelta al día en ochenta mundos (Madrid, Debate, 1993). La foto è ambigua, come tutte le foto che si rispettino: in realtà, non è facile stabilire se Adorno ci dia le spalle, mostrando olimpicamente il suo totale distacco dagli affanni terreni; oppure se, invece e al contrario, posa proprio in primo piano, ma il viso (e il resto del corpo) è in ombra, stagliato sullo sfondo bianco di una persiana al cui lato sinistro campeggia un mazzo di fiori costretti in vaso poggiato sul davanzale.

Cortázar deve essersi divertito molto a giocare con il suo Adorno; ed è forse per questo che gli dedica foto e diversi brani del libro (il cui titolo, è evidente, è anche un omaggio a Philieas Fogg, il protagonista del romanzo di Jules Verne, Il giro del mondo in ottanta giorni.

Quanti mondi c'entrano in un giorno? O, al contrario, e ribaltando la domanda: quanti giorni c'entrano in un mondo? Cortázar ci dice che la letteratura è ovunque; e che la finzione può scaturire anche da un gatto seduto davanti ad una finestra (o su un balcone intento a fissare un altro gatto appostato anch'esso sul davanzale della finestra della casa di fronte).

A p. 10 c'è la foto di Jules Verne: sembra Babbo Natale, con una barba bianca folta e rigogliosa e quegli occhi spiritati da esploratore instancabile di mondi "altri". In realtà, in questa immagine, Verne ricorda inevitabilmente un altro genio. Einstein, ripreso in primo piano, mentre sorride con i capelli tutti arruffati. E tra Eistein e Verne, il passo è breve. Anche se sono vissuti in due epoche diverse. Anche se probabilmente l'uno ha sempre continuato ad ignorare l'esistenza dell'altro. E di Adorno. Che siede ancora sul davanzale, e forse è ancora vivo, e scondinzola tra le gambe di Cortázar...

lunes, septiembre 24, 2007

Lettera aperta a Alyssa, intorno alla mia presunta "mania libresca"

Cara Alyssa,

lo so che tu non mi leggi (o che si contano sulle dita di una mano le volte che leggi i miei pensieri su questo blog - qualche sforzino in più, è vero, lo fai, quando si tratta dei racconti) e quindi so che, almeno per ora, sto scrivendo a un fantasma (a un'altra "te" che non mi sente e non mi vede, e che chissà se dorme di già a Firenze o è qui a Pisa, vicina al mio letto, intenta a scrutarmi mentre le scrivo e non mi accorgo che sì, è proprio qui a fianco a me e mi prende in giro perchè vede che io credo di stare scrivendo ad un fantasma quando invece...). E quindi so pure che quanto ti scrivo potrebbe fare la fine del messaggio lasciato nella bottiglia gettata in mezzo al mare: ovvero, non arrivare mai a destinazione (e allora perchè, mi domando, perchè continuiamo a lanciare messaggi nelle bottiglie? Romanticismo imperituro? Ostinazione tutta umana a voler sfidare la sorte?). Eppure ci provo: proverò a spiegarti perchè è il caso che si rifletta insieme sulla mia presunta "mania libresca", su questa sorta di malattia della mente che mi obbligherebbe a leggere sempre e solo come se il libro che ho tra le mani fosse di fondamentale importanza per la mia formazione di uomo, come se stessi sempre studiando, matita alla mano, evidenziatore pronto, orecchiette alle pagine più belle già pronte a rovinare la carta del testo in questione...

Non è vero che leggo sempre studiando; non è vero affatto che non mi abbandoni a un tipo di lettura "rilassante" e pacata; è contro ogni evidenza dire che sono così concentrato quando leggo da dimenticarmi della tua presenza se mi sei accanto o con la testa sul petto e in attesa di coccole.

Ci saranno pure state nottate in cui ho perso il senno dietro a pensieri stampati e inventati da una mente contorta; ci saranno state un paio di volte in cui ti ho lasciata a letto per andare di là in cucina a leggere la fine di un capitolo particolarmente avvincente. Ma ti giuro che questa non è la prassi, che non è mia abitudine abusare della tua pazienza o ignorarti completamente per ore filate.

E' vero pure che c'è chi, dopo aver fatto l'amore, si addormenta di botto o si fuma una sigaretta: io preferisco leggere, rituffarmi a capofitto nella trama di un giallo o negli interstizi di un saggio di filosofia. Si sa, son gusti. Ma riconosco pure i miei limiti: conosco il senso del rispetto; o almeno credo e lo spero. E ti assicuro che non permetterei mai alla mia cosidetta "mania libresca" (pensiamo a Don Chisciotte) di impossessarsi di me fino al punto da portarmi lontano da te e dal tuo corpo desideroso di carezze e baci sottili. Non lascerò che l'una passione soppianti l'altra. Anche perchè sono due passioni diverse e che coinvolgono in modi diversi. Non avere paura, perchè non ti farò addormentare tutte le notti da sola. Non di solo libri vive l'uomo, così come non di solo pane ci nutriamo (e poi sarebbe davvero assurdo, da matti, portarsi sempre a letto dei libri; anche se coi libri, quando valgono, bisogna anche andarci a letto e farci la notte in bianco).

Dormi pure sonni tranquilla, mia cara Alyssa. E credimi: il saggio sa che tutta la sua sapienza non serve a nulla se non è d'aiuto al prossimo. E che nessun libro potrà permettergli d'avanzare lungo il cammino della verità senza l'osservazione acuta e attenta, cosciente e irrazionale a un tempo, dello spettacolo che la Natura gli porge sotto gli occhi. E tu sai come mi hai catturato attraverso i tuoi occhi dolcissimi. E che da essi ho intravisto quella luce che ancora m'illumina.
Tuo
Rendl (o Anto)

viernes, septiembre 21, 2007

La mano incantata


E' così che s'intitola la foto qui affianco, di Ralph Gibson, fotografo di cui ignoravo perfino l'esistenza prima di leggere il bellissimo, suadente e romantico saggio di Philippe Dubois su L'atto fotografico (Urbino, Quattroventi, 1996 - l'originale francese è del 1983; all'epoca avevo appena 6 anni, ma ero già affascinato dalle immagini fotografiche, anche se odiavo farmi fotografare, mia madre mi diceva che "uscivo sempre con gli occhi chiusi", deve essere inversamente proporzionale, la mia sensibilità alla luce - solare - con la mia voglia di guardare, catalogare il mondo per immagini, osservare quante più immagini possibili si può, riempirmi la retina di foto...).

Questa foto colpisce per tutti i buoni motivi che elenca Dubois (ricordo che l'analizza in uno dei capitoli finali del libro, quando parla dell'importanza del fuori campo o off dell'immagine fotografica: quanto sia importante ai fini della comprensione, fruizione e interpretazione di una foto sia quello che appare dentro il quadro, che quanto resta per forza di cose fuori dello stesso). Qui, in particolare, il fuori campo parla, è eloquente: perchè non solo la mano che sta per aprire del tutto la porta appare da un "fuori campo" deducibile (la parte a sinistra della porta, dal punto di vista di chi guarda), ma anche perchè quella stessa mano, sotto forma di ombra (pulvis et umbra, sempre), si proietta sullo schermo della parete, aprendo per così dire lo spazio destro della foto stessa, riempiendo di senso (perturbante?) anche il lato destro dell'immagine.

Sinistra (una mano), destra (l'ombra di una mano), centro: una porta socchiusa, dietro della quale s'intuisce la presenza di una stanza; in primo piano, il pavimento di quel corridoio che conduce proprio alla porta che si (sta) per aprire (che qualcuno - ma chi? Un fantasma, un essere umano, uno zombie, un bambino, un uomo o una donna? Un vecchio? - fa il gesto di "aprire"), impedendoci, negandoci, sottraendoci proprio quella porzione di spazio verso cui tenderebbe naturalmente l'occhio (voyeurista) dello spettatore. La porta: fermiamoci su questo elemento tipico; basilare di ogni architettura domestica (non esistono case senza porte; se sì si chiamano bunker; ma in quel caso vi si penetra attraverso una botola, un passaggio segreto, un buco nella terra; la porta è proprio il punto di passaggio per eccellenza verso la "domesticità": solo se c'è una porta ci sarà pure una casa; si entra nel regno del familiare, anche quando chi vi abita ci risulta sconosciuto; comunque quello sconosciuto considererà sempre la porta d'ingresso come "la chiave che apre le porte del regno domestico"). Dicevo: la porta. E' di forma (ovviamente) rettangolare; ebbene: immettere dentro il quadro di un'immagine fotografica (rettangolare) un oggetto, o una seconda immagine, dalla forma rettangolare non è operazione innocente; al cinema (ma credo anche in fotografia) quest'operazione assume i tratti della figura retorica e si chiama (in francese, guarda un po') recradrage. E' come quando inquadro una televisione in un film: l'effetto è da mise en abyme (guarda un po', anche questo secondo termine tecnico è in francese; che il francese sia fissato su certi fenomeni tipici dell'arte "modernista" o "avanguardista"?). E' come quando un regista in-quadra un quadro famoso; o, ancora meglio, quando mi fa vedere un attore che è posto davanti a un quadro e contempla il quadro con la testa ravvicinata al soggetto del quadro e io assisto a un osservatore che osserva senza sapere di venire osservato da altri da dietro le spalle... Ecco una prima conclusione cui si giunge guardando questa foto: il mistero nasce anche dal fatto che essa si costruisce come recadrage: mette al centro del quadro (in-quadra) un quadro (qui, in realtà, un rettangolo), aprendo la strada (dell'interpretazione) verso uno sfondo, un altro quadro (la stanza) che non si vede. Ciò che intra-vedo da dietro la porta è solo, oltre alla mano "misteriosa" che fa atto d'aprire, una striscia bianca orizzontale lungo la parete spoglia; parte del pavimento in parquet (prosecuzione logica del parquet che si vede in primo piano). E nientre altro (nemmeno un'ombra; anzi: nemmeno l'ombra di un oggetto, una persona, un paesaggio, un quadro, una finestra, nulla). Una porta che apre sul nulla? Un gioco di specchi di cui non capisco il fine e le cause?

Mi piace pensare (ipotizzare anche) che quella mano non è nè frutto di un fotomontaggio nè frutto del caso (ma in una foto il caso e il destino - poteva essere così; deve essere così - si danno la mano), bensì sia proprio la mano di Ralph Gibson, l'artista-autore che ha ideato questa immagine alludendo a qualcosa che potrebbe essere proprio l'atto fotografico così come lo intende Dubois. Un atto misterioso che apre la strada a mondi "altri"; che raggela e congela nell'istante un attimo di tempo e una porzione esatta di spazio. Spazio e tempo mummificati e, al contempo, resi eterni dall'effetto della luce sulla pellicola impressionata (le foto fanno sempre impressione, anche quando hanno per oggetto contenuti domestici). Spazi-tempo che l'occhio può percorrere a piacimento ma che restano sempre muti; nessuno verrà a dirci cosa si nasconde dietro quella porta; nessuno sa davvero di chi sia quella mano; e forse non valeva nemmeno la pena porsi questioni simili; la foto è là, fissa, immobile, inquietante. E mi parla senza parole.

sábado, septiembre 15, 2007

Dedicato a Silvia, l'amica di "Impressioni di vita"

Seneca osserva: "L'uomo è destinato a tornare alla vita, e perciò deve uscirne serenamente. Osserva il ciclo attraverso cui le cose ritornano tutte in se stesse: vedrai che nulla in questo mondo si estingue, ma con moto alterno tramonta e risorge. Se ne va l'estate, ma per tornare l'anno successivo. Passa l'inverno, ma riapparirà nella sua stagione. La notte nasconde il sole, ma subito dopo il giorno porta via la notte. Similmente le stelle, nella loro rotazione, non fanno che tornare dove sono già passate. Continuamente una parte del cielo sorge, e una parte sprofonda sotto l'orizzonte. E concluderò aggiungendo solo questo: neppure i bimbi e i dementi temono la morte. E' perciò cosa veramente vergognosa che la ragione non sia capace di darci quella serenità di spirito a cui porta la stoltezza". (dalle Lettere a Lucilio, Libro IV, lettera 36).

Queste parole non ci dicono soltanto che, molto probabilmente, come fecero Quevedo, Góngora, Gracián, Lope e compagnia bella, anche Cervantes lesse attentamente i classici e, tra questi, Seneca (il Seneca morale, mi verrebbe da dire), ma che lo assimilò alla propria lingua, re-inventadolo attraverso una nuova, originale riflessione sul tempo come freccia e come cerchio (tutte le cose, per Cervantes, girano "a la redonda" o "en redondo"; ricordiamoci pure del fatto che in realtà chi riflette nell'incipit di quel capitolo della II parte del Quijote non è il Monco di Lepanto, ma Cide Hamete Benengeli, quell'autore che, a detta del "primo autore", ha scritto il romanzo che narra delle avventure di Don Chisciotte e che un traduttore "arábigo" verte nello spagnolo dal testo originale).

Non inventiamo (mai?) nulla di nuovo; non solo la letteratura si nutre di altra letteratura e il presente si evolve grazie al passato, ma, a quanto pare, anche le nostre vite sono destinate ad avere un'eco nel futuro, ripetendosi nei gesti, nelle parole o nei ricordi di chi ci sopravviverà. O meglio: questo è quello che ci suggerisce Seneca, nella lettera succitata indirizzata a Lucilio. E fa una certa impressione sapere che ormai, tanto di Seneca quanto del suo discepolo Lucilio, non restano che le ossa (o forse neppure quelle: pulvis et umbra, come sempre)...
O forse no, qualcosa resta: il libro che raccoglie quelle stesse lettere, quel libro che Seneca scrisse secoli fa e che ancora oggi, il 14 Settembre del 2007, agli inizi del XXI secolo, qualcuno si prende la briga di leggere, convinto di non trovarvi cose interessanti. E invece, quante massime utili, quante frasi che lasciano a bocca aperta, come questa, in cui il maestro invita l'alunno a fare in fretta, a portare subito a compimento i suoi sogni, perchè, si sa, tempus ruit: "pensa che tu sei mortale ed io son vecchio". Da restare a bocca aperta...

sábado, septiembre 08, 2007


30 years old
V for Vendetta
but also
V for Venture
and Vademecum
[sperando sia un'annata migliore delle altre, come sempre, tanto ci auguriamo sempre la stessa cosa ogni anno; a special thank to Alyssa, siempre detallista, soprattutto quando uno non se l'aspetta! And to my brother, Dadda, from Rome, che raggiungerò nel giorno di Beppe Grillo, V for Vaffanculoday... And to my family, sin ellos no hubiera sido posible nada, tampoco este blog]

martes, septiembre 04, 2007

Piccola osservazione morale, forse moraleggiante, from the car-park or the area-parking...



Tutto passa o tutto scorre e le situazioni già passate o già vissute tornano a ripetersi e riviviamo gli stessi gesti, anche con lievi, a volte leggerissime variazioni.
Mi era capitato già nel 1996, quando lavoravo con un gruppo di ragazzi eruditi amanti del cinema (dei cinefili) e organizzavamo rassegne estive, cinema all'aperto, film d'autore di qualità per tutti, e io approfittavo delle pochissime pause per rinserrarmi in macchina e mangiare una mela o una pera o una banana e scrivere le mie priogioni; è ricapitato nel 2003, quando facevo il facchino in un hotel di lusso del centro di Roma e usavo l'ufficio-ripostiglio del mini-bar service per scrivere racconti impossibili su amori improbabili tra le birre di Heineken e le bottiglie di acqua Fiuggi, mentre di là, fuori, in corridoio, le governanti ci cercavano, invano, e le cameriere rassettavano le stanze dei cosiddetti vips (Maurizio Costanzo più ciccione che in tv e Alba Parietti che una mattina mi aprì in accappatoio e l'unica cosa che si vedeva erano le labbra gonfie e i capelli arruffati, ma capita anche a loro, siamo tutti comuni mortali, anche se quelle labbra; il più umile e affabile di tutti, Roberto Benigni, che mi strinse la mano in ascensore e mi ringraziò per i complimenti che gli avevo fatto di cuore per la sua televisiva ed emozionante lectura dantis).
Succede anche oggi, nel 2007, mentre noleggio auto a turisti stranieri e uomini d'affari (generalmente loschi), seduto, o meglio, rannicchiato all'interno di un ufficio antistante il parcheggio, mentre i colleghi sudano a fare i contratti e io mi limito stoicamente a chiuderli e a dare la ricevuta al cliente ormai felice, rilassato dalla vacanza appena conclusasi, mentre mi culla in dolce sottofondo lo strepito trattenuto dei motori degli aerei che rollano in pista, l'aeroporto un luogo di passaggio, e di ripetizioni, un vero simbolo vivente di questi nostri tempi velocissimi, accelerati, schizofrenici (ma forse anche l'uomo del Medio Evo sentiva di appartenere e di vivere in un'epoca accelerata, rispetto a quella immediatamente precedente).
Se c'è un avviso, un consiglio, o un avvertimento che bisognerebbe dare a chi si accinge a entrare stabilmente (!?) nel mondo del lavoro è che se è vero che il lavoro nobilita l'uomo, è anche vero che il lavoro ti ruba il tempo: è una strana eppure costante sensazione d'angoscia quella che si prova (o almeno io provo, non generalizziamo) dopo aver timbrato il cartellino e aver osservato sul medesimo l'ora e i minuti (i secondi?) precisi, esatti, a partire dai quali sei entrato in servizio, che vuol dire: il momento a partire dal quale l'azienda, la fabbrica, l'impresa, l'associazione, l'agenzia, il tuo capo, chi comanda e ti fa arrivare a fine mese, puntuale, la busta paga, può disporre di te (della tua persona, fisicamente intesa, e del tuo cervello, ovvero delle tue capacità intellettuali e intellettive nello svolgere quella tua determinata mansione - sorvoliamo (io lo faccio spesso, ultimamente, da quando passo così tanto tempo in aeroporto) sul fatto che ci sono - e sempre ci saranno - lavori in cui e le capacità intellettuali e quelle intellettive si usano in una percentuale davvero irrisoria o minima; sorvoliamo pure (o soprassediamo anche) sul fatto che esistono ed esisteranno ancora per molto, credo, lavori fisicamente usuranti; tralasciamo (o lasciamo da un lato) il fatto che ci sono - e sempre ci saranno - uomini di potere, lavoratori iper-impegnati e iper-stressati che si scelgono i proprio collaboratori e i sudditi condizionando la vita e le scelte, a volte i gusti e la mentalità degli stessi senza avere affatto e le capacità intellettuali e quelle intellettive, nonchè quelle fisiche, per ricoprire quel loro determinato ruolo o incarico di responsabilità; sta di fatto, comunque, che ogni tipo di lavoro sottrae del tempo prezioso alla vita del lavoratore costringendolo ad abituarsi ad una sorta di imbrigliamento o incarcerazione della percezione stessa del tempo. Conosco troppi casi di gente che lavora da mattina a sera su turni snervanti e non sa più cosa vuol dire Domenica o Sabato, Natale o Capodanno; ci sono anche quei casi in cui a subire una perversa metamorfosi della percezione dello scorrere delle ore, dei mesi e degli anni non è solo la mente, ma anche il corpo (pensiamo ai portieri di notte, per tornare al caso degli hotel; pensiamo al protagonista di Taxi Driver: Robert De Niro decide spontaneamente di "arruolarsi" alle fila dell'esercito dei taxisti perchè soffre d'insonnia, ma proprio quel lavoro notturno lo conduce all'estremizzazione dei suoi mali). Si può arrivare a fare come quei bambini che scambiano la notte per il giorno, il giorno per la notte, e obbligano i genitori a seguire i loro stessi ritmi distorti.
Non lo so: mi sembra tutto un'ingiustizia; soprattutto quando il lavoro che fai non ti soddisfa (ma sono davvero felici tutti quegli imprenditori, quei ricercatori, quegli scienziati che passano l'intera giornata e a volte anche più delle 24 ore a lavorare e sudare sodo?) o non ti offre qualcosa in più della semplice retribuzione in moneta sonante. Non so chi è stato il primo a dire che "il tempo è denaro". Di certo, qualcun'altro, dopo che l'ignoto autore ha espresso la massima, deve essere scattato su in piedi e, impossessandosene, l'ha convertita nello slogan - e nell'imperativo categorico a mio vedere immorale - del sistema produttivo di tipo capitalistico liberista (come è quello che regola la vita, la produzione e il consumo, la morte, quindi e in parallelo, degli individui della parte Nord e Occidentale del mondo - con un Sud che, sempre più affamato e povero, prova ad emigrare disperatamente al Nord e un Oriente Medio o Estremo che, con il passare dei secoli, si fa sempre più emulatore o, peggio, affazzonato imitatore del sistema e dei costumi di vita occidentali).
Dentro questa parentesi - chiedo venia all'eventuale lettore - lo so, me ne rendo conto, si trovano, giacciono e ristagnano i nodi ancestrali della questione "uomo sulla Terra": la povertà, la fame nel mondo, il razzismo, l'ingiustizia, gli estremismi di tipo religioso o politico, l'obesità, l'anoressia, la bulimia, la scarsità d'acqua e le pubblicità di prodotti dietetici e dimagranti diretti a popolazioni abbienti sempre più ciccione e grosse. Chiudo la parentesi e torno al detto, ribaltandolo: "il tempo non è denaro" e se lo è, ho davvero l'impressione che sia denaro sporco. Forse, voglio pensarlo ingenuamente, vivremmo tutti meglio e la Terra sarebbe un pianeta più accogliente, se tutti imparassimo un po' a perdere il nostro prezioso tempo. O a difenderlo dalle timbrature del cartellino o dai controlli fiscali di chi compila a fine mese la busta paga che ti arriva puntuale a casa e sembra ridarti vita e ossigeno quando invece...

domingo, septiembre 02, 2007


Nostalghia
S'appressa Settembre, e tutto torna come prima, dopo le cosiddette "vacanze". Si riaprono le scuole, si ritorna a lavoro, ci si lamenta per i soliti aumenti delle bollette, ci si prepara per lavorare sodo.
Mi piacerebbe starmene in panciolle da dì a mane, senza fare niente. Magari guardando da fuori la finestra, scorrere un fiume sotto i miei occhi. E leggere qualcosa di bello, profondo, misterioso, come questi versi di Rilke:
Ciò che ti consuma
diventerà forza grazie a questo cibo.
Tu entra ed esci dalla metamorfosi.
Qual è la tua esperienza che più duole?
Se t'è amaro il bere, fatti vino.
In questa notte in cui tutto trabocca
sii magica virtù all'incrocio dei tuoi sensi,
dei loro strani incontri sii tu il senso.
E se il mondo ti avrà dimenticato,
dì alla terra immobile: Io scorro.
All'acqua rapida ripeti: Io sono.
Mi ripeto: Io scorro; e poi: Io sono...
Come una ferita dentro al cuore. O una finestra che anche chiusa lascia passare i raggi del sole incipiente.

 Un incubo (letterario) La fortuna (o il caso o  il destino o chiunque si trovi a gestire le nostre vite terrene) ha voluto che, un paio di ...